Benedetti i poeti che non sono maledetti
Con in bocca il sapore del mondo di Fabio Stassi è un atto d’amore nei confronti della poesia e dei poeti. Che non sono maledetti.
Anzi, benedetti questi poeti che, dalla Riviera di Ponente alla Sicilia, da via Veneto a Pescara, hanno saputo esplorare il mondo, dipingendone i contorni con pennellate di lirismo.
Dopo Holden, Lolita, Živago e gli altri, in cui duecento protagonisti della letteratura si presentavano accompagnandoci tra le loro pagine, Stassi mette in scena un altro racconto polifonico di grazia e tenerezza, malgrado lo sfondo di scenari come la Grande Guerra e il distacco dalle proprie radici. A passarsi il testimone, attraverso dieci racconti in prima persona, sono dunque artisti timidi e incompresi, audaci e ambiziosi, premi Nobel e presunti folli.
Al Dino Campana “pazzo e primitivo” e famoso solo dopo morte grazie ai Canti Orfici fa da contraltare un D’Annunzio desideroso di stupire e di farsi beffe che assurge a cantore di una Roma decadente e bizantina («Il lusso in cui ho vissuto mi spettava e sono in pari col destino.»)
L’inconciliabilità col mondo è la cifra distintiva della tormentata vita di molti poeti ed è per questo che l’autore che dà loro voce desidera riscattarli, impreziosendo i monologhi anche con frammenti al limite del reale.
Ecco quindi Umberto Poli in arte Saba che rievoca una cena con Leopardi, un Giuseppe Ungaretti alle prese con un concerto di bossa nova, mentre il Nobel Montale ricorda l’anatema del suo maestro e l’altro Nobel Quasimodo riflette sul fatto che “la poesia ama le terre che galleggiano sul mare.”
Disorientamento e inadeguatezza sono proprie di personalità sensibili e creative, talvolta ciniche, come Alda Merini e Aldo Palazzeschi, sospese tra l’inseguimento dell’amore e della stabilità e l’accettazione da parte di una società fin troppo convenzionale per comprenderli.
«Gli uomini che prendono sul serio gli altri mi hanno sempre fatto compassione, quelli che prendono sul serio se stessi mi facevano sganasciare.»
Così Stassi fa esprimere il pacifista futurista collezionista, amante delle finestre e “spugna che si impregna di vita.”
Allo stesso modo Vincenzo Cardarelli e Guido Gozzano appaiono bloccati in un limbo che li fa oscillare tra delicatezza e insofferenza; per Gozzano la ricerca dell’amore (e delle farfalle) lo mette in lotta contro la dannata tisi, anche se alla fine prevarrà la sua subalternità alla vita («Io sono la figura che sta sempre di profilo.»).
Con uno stile mai pomposo ma evocativo e pieno di grazia, Fabio Stassi rende giustizia alla poesia del Novecento, attraverso un immaginifico racconto corale che ha tutti i crismi per essere considerato la Spoon River dei poeti.