Buonisti si nasce
Quando un sovranista bussa alla porta c’è sempre un buonista sulla soglia che lo aspetta per spiegargli le proprie ragioni.
In questo caso il buonista è Luca Bottura e la sua visione del mondo è contenuta in Buonisti un cazzo, corrosivo e autoironico j’accuse rivolto ai suoi “fratelli in sonno” ma anche a quel pezzo di Paese ammaliato da sirene cattiviste.
Giornalista e autore satirico, già “altro direttore” di Cuore e padre di Lateral, Bottura indossa i panni di “umile operaio nella vigna del pernacchio” per dilettarsi e dilettarci con un racconto corale — il suo, ma anche il nostro — che nel volgere di mezzo secolo incontra trasformazioni politiche, sociali, ambientali, culturali. E lo fa rivendicando il corretto utilizzo del termine “buonista”.
All’incedere di un ritmo rapsodico fanno la loro comparsa figure storico-mitologiche e personaggi pubblici, passati e presenti: dal baffuto Augusto, ispettore dell’Unità, a Dan Peterson, dal maestro Michele Serra a Maria De Filippi fino a Matteo Renzi e Alessandro Di Battista, Raimondo Vianello e Vittorio Foa. Non ultima la famiglia, umile e di inscalfibili principi.
Tutti uniti in un romanzo di formazione mediato (la tv degli anni ’80) o diretto (la Bologna del 2 agosto 1980 e le V nere della Virtus), che culmina ai giorni nostri in una maturità segnata dalla continua indagine sulla politica e sulla sinistra, oggetti di studio, di lavoro e di passione civica.
«Oggi come allora due tizi di sinistra fanno tre partiti. Almeno.»
«Per anni si è parlato a buon titolo del complesso di superiorità della Sinistra, cui una parte del Paese ha giustamente, anche, reagito con insofferenza.»
In modo partecipe e sardonico, e senza timore di essere impopolare, Bottura riflette sulla credibilità del giornalismo e sull’importanza non retorica del Tricolore (“dovunque l’appoggi è patria”), discetta di tasse e di Europa, di satira e popolo, di titoli di studio e di Tav (la? Il?), mantenendo fede a quella insopprimibile essenza di raccontare e comportarsi nel modo più onesto e rigoroso possibile.
Addentrandosi nella lettura viene naturale chiedersi cosa abbia spinto l’autore a prendere posizione, pur facendolo quotidianamente sulla stampa e sui social.
Tutto nasce da un pezzo sul blog, detonatore di una voglia, di un’esigenza: quella di contarsi e di vedere se esiste consonanza tra le “avventure emotive, politiche (…) personali” dello scrittore e di una fetta di Paese, attenta alle regole civili, allo scontrino fiscale e a un’idea di mondo più giusta e solidale, insomma contraria al PuC (Partito Unico Cattivista).
In fin dei conti non importa se si è persa qualche battaglia (più di una verrebbe da dire, leggendo l’elogio della sconfitta che chiude il saggio), perché quello che resta è la sensazione di essersi riappropriati, o di aver rafforzato, quelle “due o tre cose di civiltà” che con sagacia e impegno morale ma non moralista Bottura ha saputo mettere insieme in questo viaggio appassionante.