Con Kafka, Giacometti e Pericoli non si resta a digiuno di bellezza
Che bel regalo poter leggere e guardare, in un solo pregevole volume, le parole e le immagini di Franz Kafka, Tullio Pericoli e Alberto Giacometti.
Perché Un digiunatore di Franz Kafka (Adelphi) è la riuscitissima rielaborazione dell’omonimo racconto dello scrittore praghese, scritto nel 1922 e pubblicato nel 1924, “vista con l’immaginazione” di Pericoli.
E Giacometti? Il tratto di matita dell’illustratore richiama proprio le esili figure del celebre pittore e scultore svizzero.
Malinconico, sfuggente, magro e sconsolato è il protagonista del racconto, la cui rappresentazione di figura appuntita, che trasforma un’astrazione in realtà, è la perfetta sintesi dell’incontro tra Kafka e Giacometti voluto appunto dal maestro di cerimonie Pericoli, già cimentatosi anni addietro in un analogo “racconto per disegni” con La casa ideale di Roberto Louis Stevenson.
Stakanovista della fame, un uomo trascorre intere giornate in una gabbia, intento ad incassare gli stupefatti consensi dei visitatori (“volevo sempre che ammiraste il mio digiuno”), ma avendo di fronte a sé il limite di quaranta giorni ritenuto dal suo impresario il tempo massimo per poter apprezzare al meglio l’impresa.
E, con il cuore pesante, verrà sostituito da una pantera, abile nell’arte di sbranare.
C’è da dire che il volgere della storia — l’autore si è basato sulla traduzione di Anita Rho del 1934 — segue un corso autonomo rispetto alla materia descritta dall’autore del Processo: gli elementi buffi e malinconici permangono, gli echi “kafkiani” idem, ma l’affascinante abilità di Pericoli è di far materializzare nelle pagine di destra una nuova e complementare narrazione. Si lavora di sottintesi e di dettagli, la materia da oscura diviene realtà, si concretizza la magia di ritrovare in pagine spiazzanti l’incontro tra personalità non meno stranianti.
Con il digiunatore, ci si perdoni la metafora gastronomica a buon mercato, non si resta a digiuno di grazia, stile e bellezza.
«Ho avuto bisogno di sentire sulla mia spalla destra la mano protettiva di un artista, Giacometti appunto, per prendere coraggio e provare a dare una forma mia al racconto di Kafka e allo stesso tempo permettere ai due grandi di incontrarsi. Quasi commentarsi reciprocamente».