Dall’Argentina una favola horror
Può un semplice gelato diventare l’evento scatenante di una sequela di fatti tragici, stranianti e surreali?
Protagonisti sono un bambino e la sua vulcanica immaginazione: prima un gelato alla fragola, immangiabile e marcio, poi suo padre che non gli crede e che, una volta constata la disgustosità del cono alla fragola, riduce in fin di vita il gelataio. Ne derivano il ricovero del bimbo in ospedale, l’incontro con un’infermiera severa e bizzarra e con una mistica nana e un’assenza forzata da scuola con le inevitabili conseguenze sui ritardi nell’apprendimento.
Il tutto narrando di sé come se fosse una bambina.
César Aira scompagina ogni regola del romanzo sudamericano (anche per questo Bolaño lo amava) e scrive Come diventai monaca — traduzione di Raul Schenardi per Fazi Editore — una delle perle della sua sterminata produzione ma uno dei pochi editi in Italia (oltra al Pittore fulminato dello stesso editore si segnalano tre opere presso Sur), a riprova del fatto che se si parla di America Latina si deve sempre professare la religione del realismo magico.
La nettezza delle descrizioni ci fa vivere e fantasticare accanto a Cesarito/Cesarita quando le lacrime offuscano gli occhi e lo schifo invade il corpo esplodendo nel cervello come un lampo: nel passaggio dall’Argentina rurale a Rosario, con un padre in prigione e una madre che prova a rimediare come può a molteplici carenze, il bambino vive la propria quotidianità posando il suo sguardo vibrante e disincantato, caustico e grottesco su tutto ciò con cui viene in contatto.
Le relazioni con il mondo degli adulti e quelle con il coetaneo Arturino, fino all’ascolto critico di tre radiodrammi, si confondono in un blob carico di humour e tensione, creato con rara maestria da Aira.
Si susseguono quindi allucinazioni, smembramenti, simulacri, deficit percettivi che si alternano con siparietti esilaranti (imperdibile il dialogo in autobus tra madre e figlio), giochi di parole (come quello del titolo) e slittamenti semantici.
Le fantasticherie malinconiche, che innervano l’intero romanzo non mostrando mai i confini tra vero, verosimile e falso, sfociano infine in un epilogo agghiacciante che rende questa favola macabra ancor più fascinosa.
«Il dramma cominciò dopo… Chissà perché il dramma comincia sempre dopo che è iniziato. La commedia, invece, sembra cominciare prima, addirittura prima dell’inizio. Dopo, però, le prospettive si invertono… Il dramma si scatenò in me quando capii che quella scena muta a cui assistevo, quella mimica astratta di maestra e alunni, mi concerneva fino al midollo.»