Gli ultimi saranno i primi se a narrarli è Eliane Brum

Letteratume
2 min readJun 28, 2022

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Vite sospese, vite ai margini, esistenze di serie b e per questo sacrificabili.

Molta politica e non poca pubblicistica fanno proclami di attenzione verso gli ultimi e nei confronti dei diritti delle minoranze, ma non sono in molti a saperne trattare con grazia e intensità come ha fatto Eliane Brum nel suo Le vite che nessuno vede, edito da Sellerio con la traduzione di Vincenzo Barca.

Partendo dalle sue rubriche giornalistiche in cui scriveva di “persone comuni”, la reporter brasiliana, già collaboratrice di El País, The Guardian e Internazionale, ha fatto un passo avanti rispetto al pur sempre nobile reportage narrativo e ha dato a tutti i suoi “ultimi” un potere letterario che, terminata la lettura, resta incollato addosso come resina.

Il Brasile, anzi i Brasili protagonisti delle vicende vengono raccontati e ingabbiati nelle loro miserie e contraddizioni: favelas e megalopoli, industria e foresta amazzonica sono condensati in un quadro in cui bisogna “resistere all’accomodamento dello sguardo per trovare la singolarità della vita di ciascuno”.

Sul proscenio si presentano dunque, con il loro immenso portato di umanità e di storia, le madri delle favelas che continuano a farsi carico dei figli entrati nel narcotraffico e le sapienti levatrici che accolgono i nuovi nati nel modo più naturale possibile, e con loro donne che incontrano la luce solo quando la sfortuna ha compiuto il suo giro completo.

Tra le viscere della terra non si presentano solo madri e mogli — spesso più coriacee e consapevoli — ma anche uomini che lottano per sbarcare il lunario cercando l’oro o sognando la frontiera, illusi (o forse speranzosi) che dal pantano più profondo possano sgorgare stille di luminosità e bellezza.

Eliane Brum si rivela sensibile e intrepida nel narrare i meandri spesso inesplorati della realtà, servendosi di una voce e uno sguardo mai retorici, ma molto lucidi, che permettono al lettore di capire la fatica di vivere e il peso delle disuguaglianze.

«La differenza maggiore è che il funerale del povero è triste più per la sua vita che per la sua morte»

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