Il Chisciotte di Moresco nella prigione bianca
Un Chisciotte sghembo e coriaceo, pervicace e serioso, ma a suo modo vivo e fantastico.
È il Chisciotte immaginato da Antonio Moresco per Sem Libri, e traslato nella nostra epoca sulla base di suggestioni cinematografiche.
In viaggio tra i corridoi del reparto psichiatrico dell’ospedale Miguel de Cervantes Saavedra, che può essere interpretato come uno storico percorso medievale, l’eroe vive esperienze surreali, guerresche, malinconiche, in ogni caso uniche. Qualcuno le chiama allucinazioni.
Non ci sono mulini a vento, ma tante monache, un personale sanitario diviso tra obblighi professionali e sessuali, e un primario basso di statura e stralunato che trascorre gran parte del tempo a dondolarsi su un’altalena.
Con Chisciotte c’è l’insostituibile Sancio, miserrimo e abominevole compagno di viaggio assegnatogli affinché lo aiuti a guarire e che viene apostrofato nei modi più improbabili e offensivi: “ammasso di turpitudini”, “latrina ambulante”, “ludibrio vivente”, “animale”, “bruttura”, “scempio umano”.
Un Sancio post-moderno e metropolitano che all’aulico eloquio del suo assistito risponde con un gergo grettamente giovanilista, rivelandosi vittima deferente e fedele seguace come nell’eponimo romanzo.
Tra i corridoi Chisciotte vede nei ricoverati personaggi letterari e scrittori preferiti: ecco dunque apparire la piccola fiammiferaia, che si rivelerà la dea ex machina nell’epico finale che segue la convulsa colluttazione con gli infermieri, per poi imbattersi in Emily Dickinson assisa sul trono-water, Kafka con le orecchie legate da mollette, Dostoevskij trasandato e poi Leopardi, Dante, Omero, Shakespeare e molti altri. E infine l’amata Dulcinea.
L’obiettivo comune di queste anime in pena è farsi guidare fuori dalla prigione bianca dal più ostinato dei combattenti sognatori.
Il conflitto tra la fantasia (malattia?) del paziente e il principio di realtà del suo infermiere ci spinge a interrogarci sul significato del sogno, della meraviglia, dell’evasione.
Il romanzo — breve ma ricco di evocazioni — potrebbe (e dovrebbe) presto diventare un film di cui lo sceneggiatore e motore portante ha già immaginato l’intero cast nella postfazione che ne spiega la genesi: l’abilità di Moresco, tra i narratori più originali in circolazione, sta proprio nel non aver posto confini a uno splendido testo che ne omaggia uno eterno.
«Il mondo è fatto così. Inutile disperarsi. Non lo si può cambiare. Andrà sempre avanti così, fino alla fine. La nostra specie non può correggersi, è come una bomba a orologeria con il timer già avviato fin dall’inizio. Dovrebbe prendere le cose con leggerezza…»