Il lonfo e altre storie

Letteratume
2 min readApr 30, 2019

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A chi di noi non è mai capitato di sentirsi ammargelluto o di foncare nei trombazzi?

Quanti di noi hanno visto buzzillare le nuvole in un giorno carmidioso?

Potremmo continuare all’infinito e non sarebbe strano se pochi riuscissero a ricondurre queste situazioni alla pura realtà, ammesso che la realtà di cui parliamo sia inquadrabile solo dal linguaggio comune.

A dare vita a zìmpagi e zirlecchi, a fèrnagi e melisappi, è stato Fosco Maraini, scrittore, fotografo e viaggiatore, ma soprattutto divertito e divertente cerimoniere della Gnòsi delle Fànfole, introvabile libro di poesia metasemantica, per il quale urgerebbe ristampa.

Ad impreziosire il volume, tra l’altro, un cd con le musiche di Massimo Altomare e Stefano Bollani, abili a creare un virtuoso tappeto sonoro agli equilibrismi linguistici di Maraini, il cui “potenziale” vocabolario è appunto in perfetta sintonia con l’estro e la bravura dei musicisti.

Per apprezzare Il lonfo, Il giorno ad urlapicchio, E gnacche alla formica e gli altri componimenti, non è necessario conoscere la definizione di poesia metasemantica, ma leggere l’introduzione dell’autore può aiutare: contrariamente ai significati univoci e precisi dei nostri vocabolari, «nel linguaggio metasemantico (…) le parole non infilano le cose come frecce, ma le sfiorano come piume, o colpi di brezza, o raggi di sole, dando luogo a molteplici diffrazioni, a richiami armonici, a cromatismi polivalenti (…), a improvvise moltiplicazioni catalitiche nei duomi del pensiero, dei moti più segreti.»

Conoscere le nomenclature, i pianeti, i luoghi, gli eventi, gli elenchi, mescolare le storie e le lettere come in un eterno Scarabeo, mantenendo tuttavia una logica superiore, può essere un ottimo punto di partenza per generare finfardelli, fracàsseri,ludrèfani fofogni, dindèllere, dando vita a un godimento lessicale e musicale mai fine a se stesso.

Quello che ha generosamente mostrato Fosco Maraini, creando un divertissement letterario valido da 0 a 99 anni, è che le parole sono lì: mai statiche, pronte per essere accolte, dondolate, studiate, rispettate, infine riproposte e rinnovate in forme che — a torto — credevamo non esistessero.

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