Il pensiero della fine non è la fine

Letteratume
2 min readAug 22, 2022

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Il lettore che si imbatta, assorbendone il senso e l’intensità, con le pagine di Pensare la fine di Marco Pacini (Meltemi), si troverà a ripercorrere percorsi di pensiero incontrati in altre opere dedicate all’emergenza climatica riscoprendoli, come fa notare Franco Farinelli nella prefazione, ben connessi e allineati.

È proprio grazie a questo approccio filosofico-giornalistico che possiamo domandarci come bisogna comportarsi di fronte alla persistente e invasiva crisi ambientale, in merito alla quale — suggerisce Pacini, già caporedattore dell’Espresso e ideatore del Festival vicino/lontano e del premio Terzani — bisogna praticare un pessimismo attivo e creativo in luogo di un ottimismo miope.

Il cambio di abito mentale serve dunque a far maturare progressivamente la convinzione che si possa “pensare la fine” fuggendo da fanatiche illusioni accelerazioniste e smontando astrusi luoghi comuni sul concetto passepartout di sostenibilità.

Ecco quindi Latour e il suo nuovo regime climatico, il profondo Anders, Amitav Ghosh e il Franzen di E se smettessimo di fingere, farsi fiancheggiatori di una dissertazione ponderosa e fruibile, con echi filosofici che non appesantiscono la lettura.

Le continue inondazioni, oggetto e soggetto di una ripetitiva cronaca mediatica, le aree sommerse (vedi ancora Ghosh e il disvelamento della Grande cecità), il clima tropicale, le minacce alla biodiversità, diventano protagonisti di un ripensamento attivo e non banale, di cui l’autore si fa critico ma lucidissimo portavoce (analogo impegno era stato messo nel precedente Epocalisse, in cui il sano pessimismo si misurava in ambito sociale e mediatico).

Partendo dalla nostra way of life, sbandierata nei fin troppo reboanti consessi internazionali, e affrontando la necessità di una “ritirata” che sostituisca l’ormai consumato concetto di “guerra climatica”, Pacini si preoccupa nella parte finale del saggio di ridefinire i confini del linguaggio ambientalista, misurando la temperatura alle parole/valori più determinanti in questa temperie storica (capitalismo, crescita, democrazia, etica, giustizia).

Pensare la fine diviene così la strada più saggia per barcamenarsi tra i marosi di una trasformazione epocale.

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