In Celati le apparenze non ingannano
Scrittore, critico, saggista, regista, traduttore, novelliere.
Dire chi è stato e cosa ha rappresentato per il panorama letterario Gianni Celati, ora che non c’è più, è impresa non delle più semplici.
Può servire tuttavia a rendere conto della sua coerente originalità soffermarsi su una tra le opere più rappresentative della seconda fase creativa: Quattro novelle sulle apparenze, scritta nel 1987 per Feltrinelli e tornata alle stampe qualche anno fa per Quodlibet.
In quattro racconti, che attraversano felicemente e comicamente la pianura padana, Celati fa i conti con le debolezze esistenziali e la filosofia contemporanea, dimostrando che non è tanto interessante arrovellarsi sui massimi sistemi quando si può giocare e dissacrare per il solo gusto di raccontare storie.
Nella prima novella il professor Baratto, stanco di parole e chiacchiericci, si estrania dal mondo decidendo di trincerarsi in un mutismo singolare e pensoso “come se gli fosse girato il cervello da un momento all’altro”, stando al resoconto di uno dei tanti conoscenti. Non è da meno, volendo fare una forzatura biografica, l’ “auto-esilio” che l’autore si è imposto fermandosi a Brighton dal 1990, dopo una brillante seppur breve carriera universitaria a Bologna e un lungo periplo franco-tedesco-americano (rileggere il suo “Esercizio autobiografico in 2000 battute” per apprezzarne vita e scrittura).
Accomunati dallo stesso livello di straniamento, di isolamento esistenziale e di inconsistenza metafisica ci sono sia i comprimari di questo racconto sia i personaggi delle altre tre novelle, tra cui spicca “I lettori di libri sono sempre più falsi”. Qui si celebra il trionfo dello spaesamento del giovane protagonista, studente di letteratura, poi venditore porta a porta, infine critico letterario, che vorrebbe tanto capire i libri che legge, in aperto conflitto con il suo datore di lavoro e la sua compagna che invece tirano la corda sul versante opposto.
Follia, comicità e inadeguatezza sono imperanti anche nelle altre due storie che hanno al centro un dirigente aziendale e suo figlio indolente da un lato e un pittore di insegne che si dedica allo studio del paesaggio padano e alle sue rifrazioni che mutano con le stagioni dall’altro (qui si intravvede anche la predisposizione cinematografica di Celati, abile nel tempo a raccontare mondi in apparenza diversi come il Senegal e Ferrara).
Per quanto si tratti di un’opera di narrativa, Quattro novelle mostra in filigrana anche l’acume, la coerenza e l’unicità che hanno caratterizzato il lavoro del Celati saggista (da incorniciare Narrative in fuga, sempre da Quodlibet) e traduttore (ciclopica l’ultima fatica dell’Ulisse di Joyce per Einaudi).