La Capria e la memoria del mondo
Che cos’è e a che serve la letteratura? Ci si può consacrare la vita come ha fatto Borges?
Sono queste le domande con cui, poco meno di trent’anni orsono, Raffaele La Capria inscenava un dialogo immaginario con un giovane se stesso avido e curioso di letteratura, e quindi di vita, fulcro dell’ottimo saggio Il sentimento della letteratura (Mondadori, prima edizione aprile 1997).
Se davvero la letteratura è la nostra memoria collettiva — diversa dalla pura memoria di fatti, date, episodi che prende il nome di storia — allora vuol dire che tutti possiamo attingere a un serbatoio di passioni, sogni, emozioni, significati, filtrati da un linguaggio che ne consente la trasmissione.
Dall’Ulisse di Omero a quello di Joyce la tradizione corre ininterrotta perchè l’uomo non ha mai smesso di esprimere, attraverso la scrittura, il suo mondo immaginario.
La lunga riflessione in forma di saggio esposta da La Capria prende in esame il ruolo della poesia e la forza dei personaggi letterari (Pinocchio su tutti), i primi approcci di giovane lettore (Montale e Leopardi, Vico e Alfieri) e la posizione “intellettuale” occupata dagli scrittori e dallo stesso autore (molto significative le pagine su Orwell).
La Capria non disdegna dotte divagazioni da polemista quando, nel fare un’anatomia della “scopata” nelle opere letterarie (parola volgare ma esemplificativa) da Pietro Aretino a D’Annunzio fino ad Arbasino e Veronesi, nota con discreto anticipo sui nostri tempi frenetici che il ruolo della donna è quasi sempre una proiezione dell’immaginario maschile.
Oppure quando rievoca il “poetico litigio” con la sua città, lamentando che per il solo fatto di essere nato a Napoli, uno scrittore debba essere automaticamente considerato uno scrittore napoletano: «Se si parla di Calvino non si aggiunge subito “scrittore ligure”. Se si parla di Moravia, non si aggiunge subito “scrittore romano”».
L’abilità del grande autore scomparso nel giugno 2022, vincitore del Premio Strega 1961 con Ferito a morte, è stata quella di aver scritto un rigoroso e asciutto saggio sulla letteratura, pescando solo parzialmente dall’autobiografia e riuscendo nella difficile impresa di raccontare l’epos letterario attraverso il senso comune.