Unica salvezza, la fuga
Due storie e una sola prospettiva: la fuga.
Fuga a Est di Maylis de Kerangal (Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi) è la storia di Alëša ed Hélène, dal cui incontro tra gli angusti vagoni della Transiberiana nasce una faticosa intesa fatta di cenni, sguardi, complicità e pochissime parole.
Alëša è un ventenne russo di corporatura robusta e carnagione color cemento che, da coscritto, prova a sfuggire all’ineluttabile campagna siberiana, foriera di freddo, buio e terrore.
La sua prossemica racconta una storia opposta rispetto a quella che l’ordine costituito vorrebbe per lui: le spalle gettate all’indietro e lo sguardo fisso sulla fine del convoglio chiedono solo libertà.
Hélène è una giovane francese che arriva reggendo in una mano un bicchiere avvolto in una rete di metallo argentato e nell’altra una sigaretta accesa, tentando a sua volta di dimenticare la storia d’amore con Anton, lasciato a Krasnojarsk.
Osservandosi di sottecchi e riscontrando le reciproche differenze (“Donne così non ne ha mai viste a Mosca dove quelle interessanti portano jeans attillati e stanno appollaiate su tacchi spaventosi”), i due protagonisti diventano complici di un fondamentale scatto verso la liberazione.
Se la Siberia diventa dunque il fulcro evocato di due avvenimenti in divenire, il desiderio del ragazzo ha una natura centrifuga, mentre quello della sua compagna di avventura ha una valenza centripeta: nel mezzo si avvicendano figure come l’ambigua prodovdnitsa o come il vendicativo sergente Letchov.
Le quindici carrozze che portano a Vladivostok, con il loro dondolio monotono, lo sferragliare ciclico e gli stridii metallici, diventano la colonna sonora di un romanzo breve e folgorante, in cui la penna dell’autrice regna sovrana.
Fuga a Est è una storia intensamente bella che narra destini comuni e solidali che lottano per sfuggire a un sistema asfittico e castrante.
«Non si saprà mai perché rimangano lì senza parlare, senza nemmeno toccarsi, lei sarebbe dovuta andare via da un pezzo…»