La gabbia dorata del lettore

Letteratume
2 min readJun 25, 2021

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L’amore per la lettura si può celebrare in due modi: leggendo in maniera forsennata e compulsiva oppure lottando per provare a guarire dal morbus lexis.

Il secondo percorso è quello intrapreso da Hermann Burger nel romanzo L’illettore (sottotitolo Una confessione), tradotto con maestria da Anna Ruchat per L’orma editore: una storia, tra il delirante e l’autobiografico, che affonda le radici nell’humus mitteleuropeo con echi di Kafka e Bernhard.

Al centro della scena c’è un uomo affetto da quell’incapacità di leggere e comprendere l’alfabeto del mondo che prende il nome di “illessia”. Dinanzi al protagonista-narratore, separata da una unilaterale corrispondenza epistolare, c’è la “Signora e sovrana di Blankenburg”, destinataria di sette rutilanti lettere, infarcite di rimandi, citazioni, excursus logici, neologismi, affreschi barocchi ed elucubrazioni filosofiche.

La figura dell’illettore non si presenta dunque come il contrario del lettore, ma come la sua negazione, un archetipo le cui difficoltà di stare al mondo sono comuni a molta letteratura.

La gabbia dorata, quel “giaciglio di dolore” che rende schiavi dell’illessia, rimanda oltre ai citati Kafka e Bernhard, anche a Celan, Manganelli e Landolfi: ne deriva una claustrofobia castrante e straniante che diventa terapia, imponendoci di fare i conti con lo strenuo tentativo di attaccamento alla vita mentre ci passano davanti istantanee di conoscenza enciclopedica.

Dopo aver assorbito “queste pietre preziose dell’umano spirito”, Burger si congeda dalla vita (morirà suicida dopo un periodo trascorso appunto in una casa di cura per la depressione) e dalla scrittura, auspicando che un giorno la letteratura possa diventare, oltre che energia alternativa, una vera e propria terapia (“senza letteratura non c’è vita”), che aiuti il degente a rinascere attraverso le lettere.

Moderno Sisifo, lo scrittore svizzero fatica sulla pagina e nella vita contro l’irraggiungibile proposito di recuperare l’interesse perduto verso le lettere inscenando un romanzo vertiginoso e labirintico, ossessivo e furente, non privo di lacerti caustici e ironici.

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