La letteratura eterna di Daniele Del Giudice

Letteratume
3 min readSep 13, 2021

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«Camminano nell’hangar ma non con una direzione precisa, passano da un aereo all’altro come si cambia argomento; non si può dire che camminassero proprio insieme, non ancora almeno, ma ciascuno dei due seguiva o anticipava l’altro e le parole si agganciavano o si separavano come i loro movimenti nello spazio.»

Pietro Brahe e Ira Epstein, un fisico e uno scrittore, sono i protagonisti di Atlante occidentale, uno tra i momenti più significativi dell’opera di Daniele Del Giudice, morto il 2 settembre 2021 dopo una lunga malattia neurologica.

Siamo al Cern di Ginevra — rievocato anche nell’imperdibile “Taccuino” che, con la prefazione di Guido Tonelli, completa l’edizione 2019 Einaudi — e i due mondi, quello scientifico e quello letterario, mostrano molte più analogie di quanto non si creda: materia e astrazione, concretezza e immaginazione sono solo in apparenza inconciliabili.

All’interno del più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle e nei dintorni di quella Ginevra che lo accudisce, si snoda la vicenda che vede un giovane fisico e un anziano scrittore incrociarsi, conoscersi, studiarsi, mescolando, insieme agli altri attori della storia, un caldo distacco e un’austera partecipazione. Ciascuno in direzione di una grande scoperta.

Anche le più complesse spiegazioni tecnologiche, che assumono i toni di un lungimirante presagio del millennio di là da venire (siamo nel 1984), appaiono fruibili grazie alla scrittura preziosa, misurata e rigorosa di Del Giudice che dimostra, a breve distanza dal capolavoro Lo stadio di Wimbledon, di riuscire come pochi altri a lasciarsi “attraversare dal paesaggio, dai luoghi, dalle persone e dai sentimenti, per mettere a fuoco trama e personaggi”, per usare le parole di Enzo Rammairone, curatore del libro e assistente dello scrittore che aveva scelto Venezia come patria elettiva.

Cern di Ginevra

Non sono dunque solo la fisica o la scrittura a permeare le tante vite del romanzo, ma esiste una componente esistenziale che lega il vedere e l’immaginare e che porta anche noi lettori a immedesimarci con le tante storie e con la nozione di tempo che ne scaturisce.

Leggendo Atlante occidentale non ci troviamo dunque di fronte a un romanzo in senso stretto, bensì a una narrazione intrisa di finzione e invenzione, autobiografia e confessione, come ha suggerito Alberto Asor Rosa in un recente articolo in memoria di Del Giudice.

Avere tra le mani gioielli senza tempo, al passo con i tempi nel secondo millennio e ancor più attuali nel 2021, rafforza la convinzione che la grande letteratura ha finalità salvifiche ed eterne, che vanno oltre le vite dei suoi creatori e dei suoi lettori.

«Certo, spiegare era necessario, ma avrebbe mai potuto spiegare che per quello che lui vedeva e cercava di vedere letteralmente non esisteva immagine, lui vedeva cose di cui non c’era immagine, se non quelle convenzionali e formalizzate di rigorosa fantasia, arbitrarie e potenti.»

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