La Napoli di Marotta tra ieri e oggi

Letteratume
2 min readAug 9, 2021

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Il ritorno di uno scrittore nella sua terra dilaniata, ferita, stuprata, eppure non inerme e mai doma.

Così, a distanza di venti anni dall’ultimo viaggio a Napoli e nelle vesti di “emigrante” milanese, Giuseppe Marotta ritrova la sua Itaca e scrive una raccolta composta non tanto da racconti ma da fotografie e suggestioni che immortalano una bellissima città sospesa tra saggezza e disillusione, tra voglia di riscatto e arte di arrangiarsi.

San Gennaro non dice mai no — riproposto da Alessandro Polidoro Editore a oltre sette decenni dalla prima edizione con la preziosa curatela di Alessio Forgione — è il resoconto di un nuovo spaccato napoletano, non più milionario né rampante e quasi antitetico rispetto a quell’Oro di Napoli pubblicato un anno prima ma ambientato nel primo Novecento, che varrà all’autore fama e importanti collaborazioni future; celebre è la trasposizione cinematografica di Vittorio De Sica, a cui seguiranno, per Marotta, stesure di soggetti e sceneggiature per lo stesso De Sica, Eduardo De Filippo, Mario Soldati e Cesare Zavattini.

In San Gennaro non dice mai no ci sono miseria e patimenti, sconforto e povertà ma anche un desiderio febbrile di venirne fuori: per questo motivo a leggere il futuro ci penseranno gli “assistiti”; al mercato nero ci sarà sempre un gran daffare; pescatori, barcaioli e innamorati saranno in cerca ciascuno della propria strada e poco importa che ci si trovi a Forcella o al Pallonetto.

L’afflato giornalistico, al tempo empatico e umoristico, consente a Marotta di vergare pagine indimenticabili che, nonostante il tempo, non ingialliscono restituendo un’immagine di Napoli autentica, olografica solo quando serve, talvolta spiazzante ma sempre ricca di fascino e immaginazione.

«Scrivendo finora su Napoli non mi sono mai illuso di superare i limiti dell’annotazione, di un pro-memoria: su una sola corda di chitarra o forse mezza ho strimpellato una rozza cantilena alla mia città, quando, scomparsi Di Giacomo, la Serao, Russo, a nessuna musica essa diceva piú niente; ben vengano ora i primi violini».

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