La vocazione di essere fuori dal coro
Ogni libro di Goffredo Fofi è una boccata d’aria.
Nel saggio La vocazione minoritaria, libro-intervista con Oreste Pivetta, è proprio di aria e di area che si parla per identificare intenti e perimetro d’azione delle minoranze: quelle minoranze di “persuasi” (e non militanti) che si battono per l’affermazione di diritti e per la diffusione di uno spirito critico, minoranze “etiche” che scelgono di essere tali per urgenza morale e non per calcolo personale.
Da sempre voce fuori dal coro della cultura contemporanea, Fofi riannoda il filo di esperienze personali e sociali, che abbracciano i movimenti urbanistici e di cooperazione educativa, l’impegno politico (mai ingessato e organico ai partiti) e la vita nelle riviste, per mostrare l’accidentata evoluzione intellettuale del Paese.
Si intravvedono così stili e umori di un’altra Italia, ripresasi con laboriosità ed entusiasmo — ma non dovunque — dalle macerie della guerra: in quella temperie c’era dunque già attenzione per gli ultimi e per le sacche di povertà, per le vessazioni subite e per i tentativi di resistenza a una sorte segnata.
Critico, educatore, animatore e direttore di riviste che hanno segnato il dibattito intellettuale (Quaderni Piacentini, La linea d’ombra, Lo Straniero, Gli Asini), Goffredo Fofi non nasconde tutta la gratitudine nei confronti di quei maestri che rispondono ai nomi di Adriano Olivetti, Ada Gobetti, Aldo Capitini e Danilo Dolci, grazie ai quali e con i quali ha maturato la convinzione che il compito della minoranza deve essere “la proposta di una visione morale dell’agire sociale e politico, che stia dalla parte dei deboli e delle persone comuni” e che tenga lontane autoreferenzialità e compiacenza nei confronti di qualsiasi forma di potere.
«Le minoranze non hanno alcun dovere di diventare maggioranze, di mirare alla conquista delle maggioranze. Il loro compito è un altro. È di essere minoranze, appunto, e in quanto tali, cunei di contraddizione, modelli di alterità positiva e di buone pratiche, esploratrici del presente.»
Leggere La vocazione minoritaria guardando retrospettivamente la storia d’Italia e immaginandone i risvolti futuri, vuol dire porsi domande non semplici e mettere continuamente in discussione lo stato del mondo affidandosi all’intelligenza dei problemi e a quel senso critico troppo spesso dimenticato per convenienza o per sciatteria.
«Capisco meno i “micromegalomani”, come li avrebbe chiamati Carmelo Bene, incapaci di stare in un gruppo ma che vogliono avere un gruppo in cui dominare.
Leader, che saranno anche bravi, ma dimostrano ancora una volta la forza di una malattia assai diffusa in Italia: l’individualismo parodistico, l’eterno “particulare” legato a una faccia, a un’immagine. E questo anche tra i cattolici, fino alle perversioni di quelli che “studiano da santi”.»