L’arte di collezionare vita

Letteratume
2 min readMay 13, 2022

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Cosa tiene insieme la gioia di vivere e l’arte di collezionare sirfidi (cioè mosche)?

Fredrik Sjöberg è la risposta, collante umano tra un delicato e mai banale elogio del creato e una passione che unita al lavoro diventa missione.

Entomologo e scrittore, divulgatore e artista (le sue amate creature sono state esposte alla Biennale d’Arte di Venezia nel 2009), Sjöberg ha scritto L’arte di collezionare mosche, edito nel 2015 da Iperborea con traduzione del premio von Rezzori Fulvio Ferrari, per dimostrare che non è poi così brutto parlare di questi insetti, fastidiosi solo in apparenza, e per parlare in fin dei conti anche di noi.

Abbiamo di fronte un accattivante saggio autobiografico e romanzato che, a furia di classificare e ordinare, mostrare e raccontare, sfugge a ogni rigida classificazione: colonne portanti sono lo “stile di vita” delle mosche, la loro invidiabile capacità di attendere, di muoversi, di auto-regolarsi e, come controcanto dell’autore, René Malaise, inventore della trappola, accompagnato nella sua genialità da frammenti, ricordi e citazioni di Kundera, Lawrence, Darwin, Linneo.

Andare in giro per l’isola Runmarö, nell’arcipelago est di Stoccolma, armati di un retino potrebbe far pensare alla pazzia o all’ossessione; in realtà a prevalere è una vocazione, solitaria forse, ma non per questo meno appagante, visto che l’autore si è dilettato a “cacciare” oltre duecento specie di sirfidi, di fatto un record per un’isola che misura poco più di venti chilometri quadrati.

La propensione tassonomica di Sjöberg, tanto utile quanto affascinante, acquista ulteriore valore quando concorre a mostrarci le emozioni dell’autore, generoso nel condividere una scienza che sa farsi abilmente racconto.

Risiede qui la potenza di un libro che, per il tema e lo stile riversati sulla pagina, si candida a essere una perla letteraria senza tempo.

«Questa è la fauna, e questa è l’isola. Già adesso, dopo sette anni, è diventato difficile trovare qualcosa di nuovo. Ma, noioso? No, quello no. Magari solitario.»

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