Le rimozioni dell’Occidente
Dopo numerosi successi, frutto di superiorità industriale, tecnologica ed economica, l’Occidente sta conoscendo una lunga battuta d’arresto.
Quella tracciata nel saggio La sconfitta dell’Occidente da Domenico Quirico e Laura Secci — reporter di guerra il primo, giornalista ed ex militare la seconda — è una mappa delle guerre perse dalle grandi potenze occidentali, quando premesse e forze in campo facevano pensare tutt’altro; lancia in resta gli Stati Uniti e a seguire le vecchie forze coloniali, queste “nostre” democrazie hanno pagato dazio nell’errata convinzione di esportare la propria forma di governo.
Il “noi” è costituito dal progresso, dalle carte di credito, da Internet, da sistemi giuridici complessi, viaggi in aereo e dalla lingua inglese; il “loro” sono “gli esclusi da tutto questo, che vivono di ciò che riescono a scambiare o barattare o di aiuti umanitari, che parlano lingue etniche, vittime di guerre perenni, carestie, mine, ostaggi in Stati di non diritto, per cui viaggiare è un calvario di posti di blocco, esazioni, imboscate, frontiere chiuse. Oggetto da parte nostra di sprezzo o di una pietà che è più ingiuriosa del vilipendio.”
Dall’inspiegabile guerra al vecchio amico Afghanistan, con talebani braccati dai droni e al-Qaida che impazza nel mondo, alla Siria del sanguinoso Assad spalleggiato da Putin, senza dimenticare i due volti di Saddam e Gheddafi, gli Stati Uniti — e i loro spesso accondiscendenti alleati — non sono riusciti a gestire la fame di potere e “il conflitto a bassa intensità” diventando vittime delle loro stesse trame.
In Afghanistan, ad esempio, si è perso dal primo giorno, soccombendo di fronte a una terra di uomini e donne coraggiosi, “che conoscono bene i tempi lunghi della vittoria e sono pronti a pagare il prezzo dell’attesa.”
Tra contromosse fallimentari e guerriglieri infedeli, diritti umani calpestati e interessi economici, si ripercorre la storia degli ultimi venti anni, riannodando i fili e studiando le correlazioni tra guerre inutili e terrorismi emergenti (si pensi ai fondamentalisti dell’Isis “migliori allievi del caos”) e provando a prevedere i nuovi scenari geopolitici.
Con stile asciutto e prosa mai consolatoria, gli autori raccontano dalla trincea retroscena bellici, esperienze personali (Quirico ha conosciuto l’angoscia del rapimento), alleanze fugaci e snodi cruciali, consapevoli che nel corso degli eventi si sta “producendo Storia a gran ritmo”.
L’esito di questa agile cronistoria è quello di aver messo in luce la grande rimozione operata all’interno delle democrazie liberali, sempre più protese verso economia, moda e politica “parlata” e sempre più indifferenti verso le conseguenze di questi conflitti.