Le vere storie verissime di Cavazzoni

Letteratume
2 min readOct 5, 2020

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Sul fatto che queste storie siano vere non c’è alcun dubbio, che siano verissime è ancora più sicuro.

Perché le Storie vere e verissime di Ermanno Cavazzoni sono tali proprio perché narrate da un autore che ha fatto di un sincero surrealismo la sua patria d’elezione, mescolando con abilità tutti i piani dell’esperienza umana.

In Cavazzoni convivono comico e grottesco, favolistico e paradossale, categorie che si applicano felicemente a tutto lo scibile umano. Non meraviglia perciò che gli svenimenti in politica, l’autobus come metafora della leadership, i miracoli che si contraddicono, il priapismo ischemico e gli scrittori in pigiama vengano affrontati con uguale meticolosità e lateralità. Le sue prose sono tanti schizzi, istantanee, fotogrammi che celebrano la natura umana nelle sue storture e contraddizioni.

Pianura padana

L’intera opera dello scrittore emiliano, da Il poema dei lunatici tanto amato da Fellini da trasporlo nel suo ultimo film La voce della luna alla Galassia dei dementi passando per Vite di idioti e Il pensatore solitario, è permeata dalla giusta mistura di visionarietà e marginalità, doti che rendono accattivante qualsiasi tipo di racconto. Che si tratti di accumulatori seriali o della civiltà degli scarafaggi, l’argomento diviene quasi il pretesto per dare libero sfogo alla forza affabulatoria di Cavazzoni.

Chi voglia addentrarsi in queste magnifiche “Storie vere e verissime” sappia che questo libro tratta inoltre il rapporto tra premi letterari e criminalità organizzata, tra pittori del Po e marxismo: tout se tient perché la logica fa un balzo in avanti e il lettore deve farsi trovare pronto difronte agli scarti surreali e “malincomici”.

«Un mio amico aveva allevato in casa un maialino, che era diventato un maiale, intelligente, lui diceva, più di un cane, voleva venire nel letto, da adulto pesava un quintale, guardava la televisione assieme alla famiglia, ma non capiva gli sceneggiati, il telegiornale, i giochi a quiz, cioè si metteva sul divano, voleva il suo spazio, gli piaceva molto la televisione come fatto sociale, però che ci fosse un programma o un altro, primo canale, secondo canale, ballerine, politici o politologi, gli andava bene tutto, anche la tv spenta gli andava bene; sì, c’era calore animale che si trasmetteva, ma l’uomo in quanto uomo è solo.»

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