Leggere è una questione di libertà

Letteratume
3 min readJul 15, 2024

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La critica letteraria e la saggistica in generale si sono spesso interrogate sul profilo del lettore: chi è, dove e perchè legge, cosa sogna, come sceglie le sue letture e via elencando.

L’originalità dell’Ultimo lettore di Ricardo Piglia (tradotto per Sur da Alessandro Gianetti) sta nel disinteressarsi di queste domande, posizionando un microscopio in quel binario parallelo alla vita che è appunto l’atto della lettura e scegliendo tra i suoi modelli di analisi lettori e scrittori effettivamente esistiti e lettori-personaggi creati dai migliori scrittori di sempre.

Il libro, sospeso felicemente in una terra di mezzo tra saggio e romanzo, si apre con il fotografo pazzo Russell, intento a riprodurre in un plastico la città di Buenos Aires (c’entra Perec?), impresa paragonabile al gesto della lettura per la sua immane pretesa di ridurre il mondo in scala uno a uno.

L’immancabile presenza di un Borges ormai cieco che cerca di trasformare l’invisibile in visibile, quintessenza dell’amore per la lett(erat)ura, viene accompagnato in un vortice divagatorio da Amleto a Joyce e Kafka, da don Chisciotte all’insospettabile Che Guevara, pronto a morire oltre che per gli ultimi e per la Revolucion anche per una buona lettura.

L’amore per il poliziesco e il noir, prima e originaria natura del Piglia narratore che peraltro diresse a Buenos Aires una collana di polar, portano a Auguste Dupin e Philip Marlowe; la passione per la libertà conduce invece a Bradbury, Huxley, Orwell, in cui la lettura diventa pratica sovversiva, isola di sopravvivenza in una società che liquida qualsiasi tipo di autonomia, occupa tutti gli spazi e impedisce ogni forma di privacy.

Il viaggio del lettore — sembra dirci Piglia — è dunque un percorso potenzialmente infinito, in cui si passa dalla citazione al testo come serie di citazioni, dal testo al volume come serie di testi, dal volume all’enciclopedia, dall’enciclopedia alla biblioteca. Con nostra somma soddisfazione questo spazio fantastico è perpetuo perché implica l’impossibilità di portare a termine la lettura, l’opprimente sensazione di tutto quello che resta da leggere: “eppure qualcosa sempre manca: una citazione che si è smarrita, una pagina che ci si aspetta di trovare e che è invece da un’altra parte”.

Alla fine di questa coinvolgente e affascinante riflessione sui modi di leggere e sull’arte di narrare, Piglia ci ricorda che sono due i grandi miti di lettore nella società moderna: colui che legge su un’isola deserta e colui che sopravvive in una società dove non esistono più libri.

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