L’Ingegner Gadda alla radio
Carlo Emilio Gadda è uno dei grandi scrittori del Novecento, padre di un pastiche letterario che non ha conosciuto eguali nel corso degli anni e autore di capolavori come Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizione del dolore.
Il Gadda meno divulgato, ma meritoriamente riproposto nel 2018 da Adelphi, è quello che ha scritto Norme per la redazione di un testo radiofonico, un manuale delle cose da dire e non dire in radio, frutto della proficua seppur breve esperienza come collaboratore del Terzo Programma Rai, durata dal 1950 al 1955.
Se i suoi romanzi e racconti sono impregnati di una visione del mondo cruda e sarcastica, dolente ed ironica, il vademecum per i giornalisti della Radio di Stato, è secco, didascalico, condito sì da una vena beffarda, ma dedicato a indicare una via per la semplificazione e la pulizia del linguaggio: evitare il tono dottrinale e la prima persona singolare e bandire litoti, allitterazioni, parentesi, incisi e sospensioni sintattiche, sono solo alcune delle prescrizioni presentate dall’Ingegnere.
Inderogabili norme e cautele devono osservarsi da chi parla al microfono o predispone, scrivendolo, un testo, per la Radio.
Come suggerisce Mariarosa Bricchi nella illuminante postfazione, verrebbe quasi da pensare che Gadda scriva contro Gadda, perché molti dei suoi “diktat” prendono di mira il suo stesso stile, pur tenendo conto che i pubblici e i momenti storici sono differenti.
Come non raffigurarsi la sua prosa quando leggiamo che non bisogna procedere “per figurazioni ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche, temporali, concessive)”? Questo aspetto insolito della scrittura di Gadda rende l’agile compendio ancor più affascinante.
Oltre che per l’utilità pratica che riveste ancora oggi per la professione radiofonica, questo libriccino incuriosisce anche per le informazioni fornite sulla decodifica del messaggio da parte dell’ascoltatore degli anni ’50: scopriamo così la “segreta suscettibilità” nell’affrontare lo speaker-pedagogo-maestro, il rischio di “complesso di inferiorità culturale” che genera ansia e dispetto, e soprattutto la “sopportabilità massima” del parlato-unito, che arriva a quindici minuti.
A oltre mezzo secolo di distanza si registra qualche fisiologico mutamento: l’ascoltatore non è più una “monade” relegata nel suo tinello di casa, ma è sempre più sfuggente e multitasking; ciononostante questo agile compendio conserva intatta la sua carica di praticità e originalità.