Memè Scianca nell’opera-mondo di Calasso

Letteratume
2 min readDec 10, 2021

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Roberto Calasso è e resterà Adelphi e rimarrà soprattutto un granitico pezzo di storia dell’editoria italiana, per questo è giusto ricordarlo anche oggi che sono passati pochi mesi dalla morte.

I suoi primi dodici anni, raccontati ai figli grazie al “pretesto” letterario proveniente dalla steppa russa di Florenskij di fine Ottocento, diventano un omaggio alla storia e all’editoria italiane e prendono la forma di un prezioso librino autobiografico dal titolo Memè Scianca (nomignolo auto-attribuitosi in tenera età).

Questo luminoso resoconto, dedicato a un’epoca “incerta e fumosa”, fa il paio con Bobi, dedicato al mentore Bobi Bazlen, e prova dell’inalterata propensione alla profondità e al più delicato understatement.

Osservare Firenze attraverso i ricordi del giovanissimo Calasso è un esercizio affascinante sia dal punto di vista storiografico sia da quello prettamente familiare: frammenti appannati e rievocazioni più circostanziate si uniscono presentando un quadro degno della migliore letteratura.

Sulla scena si avvicendano l’assassinio di Giovanni Gentile e le accuse al padre, arrestato per pochi giorni insieme agli illustri colleghi Renato Biasutti e Ranuccio Bianchi Bandinelli; l’austera figura del nonno Ernesto Codignola e le presenze discrete e decisive della madre Melisenda e del padre Francesco; amici, parenti, tate; le prime letture tra l’adorato Proust e Baudelaire.

Inserire idealmente Memè Scianca all’interno dell’opera-mondo inaugurata dalla Rovina di Kasch e chiusa dalla Tavoletta dei destini, vuol dire riconoscere la natura intimista e privata della sua scrittura, una parte quasi inedita, ma di fatto necessaria per far sì che ogni lettore possa apprezzare il Calasso scrittore ma anche il Calasso giovane lettore che getta le basi di un’impresa monumentale.

È da brividi, nonché pervicacemente autobiografica, la chiosa sui glossatori: “Di loro non sapevo niente, salvo che commentavano qualcosa, con le loro glosse. E questa idea di uno scritto che nasce da un altro scritto, lo rielabora, gli aggiunge qualcosa che prima non c’era, mi sembrava qualcosa da seguire”.

«Il polverio che sale dalle macerie di Por Santa Maria. E un odore di detriti. Poi l’Arno e il Ponte Vecchio. È l’ultima immagine che mi è restata della guerra mentre ancora accadeva. Anche se tutto è stato rifatto, lustro, gremito di negozi, quel polverio, quell’odore avvolgono ancora ogni ricordo.»

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