Mattia Torre: racconti per voce sola
Il 19 luglio di due anni fa ci lasciava Mattia Torre. La data è solo il pretesto per ricordare un autore brillante capace di posare il suo sguardo lucido e caustico su situazioni apparentemente insignificanti e dunque sulla vita di tutti i giorni.
Già ideatore con i sodali Ciarrapico e Vendruscolo della fortunata serie Boris, parodia del mondo televisivo di cui metteva alla berlina ubbie, vizi e storture, Mattia Torre aveva raccontato la sua malattia con garbo, ironia e senza retorica alcuna nel testo La linea verticale, portato in scena dal suo alter ego Valerio Mastandrea.
Proprio Mastandrea e con lui, tra gli altri, Valerio Aprea, Corrado Guzzanti, Geppi Cucciari, Paola Cortellesi, ha dato corpo alla scrittura del mai abbastanza celebrato scrittore e sceneggiatore romano: fragilità e disconnessioni, incoerenza e incongruenze, in pratica tutto quello che connota l’esistenza umana è stato passato al setaccio da Mattia Torre.
Ne è un esempio il bel libro In mezzo al mare, concentrato di sette atti comici tornato in stampa in forma ampliata grazie a Mondadori: in poche centinaia di pagine è condensato lo spirito del tempo visto da una felice prospettiva laterale, secondo l’antica ricetta di Terenzio per cui homo sum, humani nihil a me alienum puto.
L’atto unico che dà il titolo alla raccolta è un omaggio all’insensatezza del mondo: una partita di ping pong tra corteggiamenti e inseguimenti, difese e accuse, ci accompagna nei meandri della psiche umana e dell’eterno tentativo di mettere ordine tra questioni impossibili da decifrare.
«Crescerai e la vita sarà ancora più complicata, diventerai adulto e non capirai niente, goditi questo momento, goditi i giudizi dati così, in scioltezza, a cazzo di cane; goditi i mille errori, le mille spericolatezze, le mille improvvisazioni del cuore; sorridi a chi ti considera ingenuo, a chi ti dice: «Sei un immaturo»; non ascoltare chi ti rinfaccia scelte azzardate e passi falsi, un giorno sarai tu a rinfacciarli a te stesso, sarai tu. E sarà dolorosissimo.»
In Gola si parla di cibo e di guerra (“eppure questa fame incredibile non era mai venuta a nessuno, mai si è saputo di un paese che per decenni dopo la guerra avesse ancora questa fame incredibile che abbiamo noi”), ma anche di cucina e tradizioni (“la vuoi la polenta?» «no, grazie» «ma è di su» … le cose di giù, le cose di su, è tutto un incubo, è tutto un incubo, che il cibo non è più nutrimento ma obiettivo, scopo, chiave di lettura, metro del mondo”).
Si ragiona poi dicolpe, responsabilità e falsi miti come nei celebri monologhi Migliore e Colpa di un altro e nel testo breve Yes I can e infine si celebra quel microcosmo tormentato e affascinante che è la famiglia attraverso la lente di Figli, di cui si ricorda l’ottima trasposizione cinematografica, e quella di Perfetta, che è la definitiva consacrazione del mondo visto dalla donna in quattro diversi martedì (“ciclicità, accoglienza, fluire, essere, intimità, intuizione, abbondanza, rispetto della vita. Non devo avere paura di nulla”).
In mezzo al mare è la quintessenza di una produzione letteraria e teatrale, quella di Mattia Torre, spenta troppo presto ma che è stata capace nel volgere di due decenni di fotografare con sagacia e un riso amaro quello che siamo e quello che crediamo di essere.