McEwan, Orwell e il ventre della balena
Mezzo centinaio di pagine possono bastare per interrogarsi sull’esistenza di un muro che separi l’impegno politico e l’afflato estetico se a scriverle è Ian McEwan e se la storia si riferisce al fertile incontro tra George Orwell e Henry Miller avvenuto nel 1936.
Lo spazio dell’immaginazione, edito da Einaudi con la traduzione di Susanna Basso, è un pamphlet ricco di significati e rimandi, capace di abbracciare la storia letteraria e politica del secolo scorso. A partire dall’incontro in cui Miller dona all’autore di 1984 una giacca di velluto a coste per affrontare la guerra civile spagnola (pur non condividendone gli intenti e ritenendo l’impresa un’idiozia), vengono evocati e coinvolti altri insigni scrittori — Calvino, Camus, Henry James — che a modo loro hanno sperimentato o evitato il cosiddetto “ventre della balena”, già titolo di una raccolta di saggi di Orwell e terreno d’elezione per prendere le distanze da quella razionalità politica che rischia di frustrare l’immaginazione.
Il conflitto tra impegno politico e integrità estetica non è di facile risoluzione.
«Eccoti lì, nello spazio buio e imbottito che ti calza a pennello, con metri di grasso tra te e il mondo, in grado di mantenere un atteggiamento di indifferenza assoluta, qualsiasi cosa succeda. Una tempesta capace di affondare una flotta di navi da guerra non ti arriverebbe neppure come un’eco lontana…Se si esclude la condizione della morte, è l’ultimo, insuperabile stadio di irresponsabilità…Miller sta nel ventre della balena…non sente il minimo stimolo a modificare o controllare il processo che va subendo…»
Tanto in Miller quanto in Joyce, Orwell ammirava la poesia del quotidiano (“assegnare all’ordinario la dose di bellezza che gli spetta”, citando John Updike), autentico lasciapassare per alleggerire la propria visione del mondo: eppure leggendone gli appunti privati, ci si sorprende felicemente a scoprire come lo scrittore inglese viva al contempo dentro e fuori il ventre della balena (in una domenica del 1939, quando Chamberlain annuncia l’entrata in guerra della Gran Bretagna, lui è lì a scrivere anche del suo orto).
Benché il saggio di McEwan sia imperniato sul fatidico incontro Miller-Orwell, c’è spazio anche per un altrettanto importante appuntamento mancato: quello con Albert Camus che, condivideva con l’autore della Fattoria degli animali, l’antitotalitarismo, l’antistalinismo, l’aspirazione a un socialismo democratico e liberale e l’annosa riflessione sul rapporto tra pensiero politica e narrativa.
Passando per il Calvino della Giornata di uno scrutatore, in cui si fondono responsabilità personali e politiche, e nel finale per l’haiku di Matsuo Basho che riconcilia col mondo, McEwan dà prova di saper affrontare la saggistica con la stessa meticolosità e passione che lo hanno reso uno dei più grandi romanzieri contemporanei.