Metti la mamma in tavola

Letteratume
2 min readNov 28, 2022

“Due cannibali siedono davanti al fuoco. Mia madre non mi piace proprio, dice uno. Dice l’altro: allora mangia soltanto il riso.”

Per Settimo Seltzer, non a caso settimo di dodici fratelli, il momento della verità non è più rinviabile: sua madre è sul letto di morte e, in piena osservanza con i dettami dell’antica stirpe Cannibale-Americana da cui discende la famiglia, attende solo di essere mangiata.

Mamma per cena di Shalom Auslander (traduzione di Elettra Caporello), edito da Guanda, è la fotografia grottesca e irriverente di una tradizione familiare e sociale, che porta a interrogarsi sull’insopprimibile peso che può avere una comunità sul singolo (e in tal caso l’Auslander già autore dell’irriverente Lamento del prepuzio è maestro).

Cosa vuol dire essere Cannibali, anzi Cannibali — Americani, nel terzo millennio?

Significa muoversi sul pericoloso crinale fatto di sospetti e illazioni, di dogmi che si intrecciano con controindicazioni pratiche; significa vedere nel prossimo un potenziale Cannibale o, peggio ancora, un Cannibale pentito (si pensi a quell’ingrato di Jack Nicholson!).

La vita di Primo, Secondo e via numerando e anche del saggio Zietto viene segnata, in modi diversi, dalla presenza di Mamu, donna esigente e ingombrante che ricorda molto la Yiddishe mame e che, prima che l’ultimo Whopper la consegni all’eternità (o alla deglutizione filiale), non perde occasione per ricordare che il cannibalismo prima o poi trionferà.

Quello che attende i parenti è dunque un dilemma che fa i conti con una condizione ancestrale: vivere con le spalle al passato ignorando secoli di prescrizioni e tagliare il cordone ombelicale con la tradizione oppure ricordarsi ciò che si è e da dove si viene per rendere perpetua una storia?

Nel corso del romanzo l’autore ci ricorda, con immancabile sarcasmo e non senza punte di commozione, che tra Settimo e i suoi fratelli c’è chi ha già fatto altre scelte in termini alimentari, sessuali e familiari e che quindi propenderebbe per la seconda ipotesi.

L’ironia dissacrante e il ritmo incalzante di Auslander ci portano così a riflettere su quanto sia necessario affrontare i tabù e le verità indiscusse per provare a sentirsi liberi.

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