Michele Mari e il misterioso viaggio nell’Io

Letteratume
2 min readJun 6, 2024

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Una croce, un segno infame, un’opera di vigliacca violazione.

Una X disegnata con un gessetto sopra lo spioncino della porta di casa dà l’inizio a Locus desperatus di Michele Mari (Einaudi), ultimo pregevole romanzo uscito a sei anni di distanza dall’altrettanto raffinato Leggenda privata e a tre dai racconti delle Maestose rovine di Sferopoli.

Locus desperatus è un’espressione latina che in filologia indica un passo testuale corrotto e irrisolvibile, di fronte al quale bisogna arrendersi contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione».

La misteriosa croce in cui incappa il protagonista — che pure prova a rimuoverla per vederla puntualmente ricomparire — rappresenta la proposta di scambio che gli viene fatta da un individuo enigmatico che punta a impossessarsi delle sue cose e dunque della sua anima.

Asfragisto, Procopio, Silone e con loro i rimandi e le citazioni da Shakespeare, Dante, Tasso, sono i coprotagonisti di un tentativo di sfratto che arriva nei remoti antri dell’inconscio di chi vive in quella casa, che pure sembra avere vita propria, arredata com’è con stile e misurata ossessione e per il suo essere popolata da libri, stampe, ricordi d’infanzia.

«Ridotto cosí, ero re: delle mie cose, delle mie collezioni, dunque di me, che in quelle collezioni avevo sistematicamente trasferito ogni mia piú intima particola».

Ha ragione Michele Mari nel ricordarci che, a furia di circondarsi di cose, amandole, collezionandole, ci siamo a poco a poco trasferiti, regalando loro quote sempre più consistenti della nostra personalità. Personificandole, ci siamo spersonalizzati. Credendo di possederle, ci siamo spossessati.

Se accetterà la proposta, dove e in che modo si trasferirà l’inerme protagonista? E le cose faranno altrettanto, seguendolo in questo vortice?

Costretto a passare oltre la propria identità per riconoscersi, attraverserà sentieri inediti e privi di logica spazio-temporale, si ammalerà di una “febbre conoscitiva”, si struggerà alle prese con una instabile memoria affettiva, sprofondando talvolta in un gorgo di enigmi e ombre.

Attraverso una scrittura calibrata e suggestiva, ricca di colte suggestioni e trovate lessicali, Michele Mari ci presenta il viaggio affascinante e disgregante dell’Io, aiutandoci a riconsiderare il nostro rapporto con le cose e con la memoria.

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