Narrare la fine della narrazione
Lo storytelling, pronipote capitalistico della narrazione, è ormai diventato storyselling.
Con un apparentemente semplice cambio di consonante, Byung-Chul Han mette le cose in chiaro e ci ricorda che le narrazioni sono diventate una merce come un’altra: in crisi da tempo, non sono più in grado di spiegare l’esistenza collettiva e si sono dapprima trasformate in storytelling (l’accumulo di notizie prende il posto delle storie) e poi in storyselling (informare per vendere).
Il fulcro del saggio La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana (Einaudi con la traduzione di Armando Canzonieri) poggia proprio su questo assunto di base: la proliferazione di dati e informazioni ci spinge dunque a vivere in un eterno presente, che appiattisce la nozione di tempo e anche la nostra idea di comunità.
Esiste una via di fuga? Dipende anche da noi e, per spiegarlo, Byung-Chul Han si appella a Benjamin, Sartre, Proust, Kant e in particolare a un mirabile ed emblematico racconto di Paul Marr che vale il prezzo dell’intero saggio.
La storia si svolge all’interno di una famiglia in cui tutti sono soliti raccontare storie, eccetto il figlio maggiore Konrad, privo di fantasia e di memoria. Per invogliarlo ad attivare una minima forma di immaginazione, i genitori lo mandano da una vecchietta magica, nella cui casa il ragazzo vive esperienze stranianti e strabilianti che gli faranno esclamare di aver vissuto “una cosa incredibile”, rigenerando così la memoria e dando vita a una prima e nuova forma di racconto.
Dopo aver descritto i nostri tempi fatti di psicopolitica, infocrazia e di società senza dolore, il filosofo sudcoreano ci ricorda che vivere significa narrare e che la forza dell’essere umano risiede nella sua capacità di realizzare nuove forme di vita grazie alla narrazione.
In questa epoca post-narrativa prevalgono però solo il tempo della produzione e del consumo, il tempo del lavoro e il tempo libero, lasciando fuori il tempo della festa (che coincide con il momento di verità garantito, a detta del filosofo, dalla religione e dal suo calendario).
Sono stati e probabilmente saranno ancora i cosiddetti racconti con “momento di verità interno” ad essere l’antitesi delle narrazioni deboli e interscambiabili, contingenti ed evanescenti a cui siamo abituati oggi.
Starà a noi reagire alla bulimia dello storytelling — suggerisce Byung-Chul Han — provando a recuperare la memoria e l’imprescindibile senso di comunità.
«Le storie vendono. Raccontare storie coincide con il vendere storie. E si perdono due coordinate: il tempo e la comunità narrativa».