Nel frattempo a Gaza si muore: come nasce la “scorta mediatica”
La tragedia dei palestinesi di Gaza potrebbe chiamarsi “intanto” o “nel frattempo”, perchè nel panorama giornalistico e mediatico di casa nostra c’è sempre qualcosa di più importante su cui riferire o di cui “geopoliticizzare”.
Questa è una delle importanti tesi di Raffaele Oriani e del suo Gaza, la scorta mediatica. Come la grande stampa ha accompagnato il massacro, e perchè me ne sono chiamato fuori, edito da People.
Raffaele Oriani parte da un’esperienza personale, ovvero dalla sofferta e meditata decisione di dimettersi dal Venerdì di Repubblica, con cui collaborava da dodici anni, in aperto contrasto con una linea editoriale che non teneva in giusta considerazione l’entità della vendetta israeliana.
Un passo indietro.
Il 7 ottobre 2023, un orrendo massacro ordito da Hamas colpisce Israele, facendo circa mille morti tra civili e militari e prendendo in ostaggio oltre duecento persone; dall’indomani parte la rappresaglia israeliana che, stando ai dati più recenti di Euro-Med Human Rights Monitor, ha provocato la morte di cinquantamila palestinesi, di cui un terzo bambini: una scia di sangue che ha travolto e continua a travolgere case, scuole, ospedali e la vita di civili innocenti.
Benchè l’obiettivo del governo israeliano sia quello di punire Hamas, i risultati — sotto gli occhi di chi li vuol vedere — sono la distruzione deliberata e totale di ogni forma di civiltà, con lo spettro della polio alle porte e una intera popolazione usata come enorme scudo umano.
E la stampa italiana dov’è? Si chiede e ci chiede Oriani.
La libera stampa non vede o non vuol vedere il genocidio in corso a Gaza: analizza, sentenzia, “geopolitizza”, silenzia e non ricorre allo stesso “impeto etico” utilizzato per la guerra in Ucraina; da qui la scelta del giornalista di fare un passo indietro per rompere il muro di omertà e provare a dare un minimo sollievo a coscienze che sono messe di fronte a cose che “fanno rabbrividire la schiena del mondo”.
La libera stampa funge da “scorta mediatica” al contrario che, servendosi della lezione manzoniana, si preoccupa di troncare e sopire, utilizzando un linguaggio che rende tutto più oscuro e inspiegabile e che fa suonare inquietanti echi della miglior prosa di George Orwell.
Alcuni esempi tratti dalla preziosa disamina di Oriani: l’assassinio può essere israeliano ma non palestinese; il massacro viene usato 125 volte per designare le vittime israeliane, due per quelle palestinesi; il termine carneficina ricorre 60 volte contro una; gli israeliani subiscono una strage, i palestinesi vivono un dramma; le bombe sganciate da Netanyahu sono senza mittente.
(Nota a margine: ma come può venir in mente di chiamare “Bibi” un guerrafondaio con le mani sporche di sangue?)
Povero quel Paese e quel giornalismo che, per parlare di 19mila bambini orfani, deve passare prima da argomenti tutt’altro che pregnanti come Salvini, Sinner, il Covid, l’Ungheria, Sandra Milo, Michele Misseri, il programma tv Avanti popolo, Veronica Lario, Pogba, Piantedosi, scontri di Pisa, test dei giudici, Vannacci o che si affida a “povertà logica di grandi firme che si muovono nel vuoto”.
Se nulla giustifica il massacro del 7 ottobre, nulla giustifica lo sterminio dal 7 ottobre e il sistema mediatico sta dunque sottovalutando la portata dello sterminio, dimostrando di non riuscire a intercettare il sentire della gente comune.
Fa bene Oriani a ricordarci, con onestà professionale e con prosa lucida e analitica, che qualcuno ci chiederà conto del perchè non abbiamo voluto, saputo o potuto interrompere questo ignobile massacro.