L’Europa unita di Kundera

Letteratume
2 min readJul 18, 2022

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Due discorsi di Milan Kundera, finora inediti e recentemente pubblicati da Adelphi nel volume Un occidente prigioniero (traduzione di Giorgio Pinotti), inducono a più di una riflessione, come spesso accade quando si ha tra le mani un libro dell’autore dell’Insostenibile leggerezza dell’essere.

Il primo argomento di discussione riguarda l’anomala posizione dell’Europa centrale nel Novecento pre-caduta del Muro di Berlino: politicamente a est, culturalmente a ovest ed è anche per questo che Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, le cosiddette “piccole nazioni” oggetto del primo intervento tenuto nel 1967, avrebbero dovuto (e voluto) strenuamente preservare la cultura come “santuario della loro identità”.

Altro elemento di un dibattito veemente e pacato allo stesso tempo è, appunto, il ruolo della cultura: dapprima supplente della religione nel favorire l’interpretazione dei tempi moderni, ma poi a sua volta irretita e diventata subalterna. “Ma di chi o di cosa?”, si chiede Kundera. Della tecnica, del mercato, dei media, della politica?.

Primavera di Praga

Non è un caso che, come ricorda lo scrittore ceco nel secondo testo risalente al 1983, l’invasione russa in Cecoslovacchia abbia portato alla distruzione totale dei saperi e dell’identità di quei popoli, così come non è casuale che nella temperie storica vissuta e descritta dallo stesso Kundera si consumerà la rottura insanabile tra scrittori e potere.

A impreziosire un saggio che conserva un notevole di tasso di attualità ci sono le premesse di Jacques Rupnik e Pierre Nora, utili nel dotare il volume di un’adeguata cornice storiografica.

In definitiva, quello di Kundera è un j’accuse nei confronti di un Occidente inerte e inetto, che ha consentito al suo “estremo lembo” di venire attaccato e polverizzato, venendo così privato del suo prezioso patrimonio umano e sociale.

«Nel settembre del 1956, il direttore dell’agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall’artiglieria, trasmise al mondo intero per telex un disperato messaggio sull’offensiva che quel mattino i russi avevano scatenato contro Budapest. Il dispaccio finisce con queste parole: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa”.»

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