La paternità al giro dell’oca
Con Il giro dell’oca Erri De Luca ci regala un vibrante discorso sulla paternità, inscenando un “monologo a due voci” in cui si rivolge al figlio che non ha mai avuto attraverso la rievocazione di emozioni e momenti della sua movimentata vita.
Dopo essersi occupato della maternità con In nome della madre, Erri De Luca traccia una nuova rotta nella sua ricca produzione letteraria, mettendo in gioco esperienza, ricordi, doti e storie di narratore e vedendosi controbattere, punto su punto, da un altro sé che non sarà mai figlio né padre.
«Non so da quale madre potevi uscire al mondo, figlio che non ti posso dire figlio mio. Stasera ascolti mentre ti racconto.»
Il giro dell’oca è una intima e delicata riflessione sul tempo e sulla storia («Qualche volta mi fermo, per vedere com’è il tempo senza me. Scorre, si lascia rubare da un qualunque altro»), sulle radici, sugli ideali, sugli affetti e sui fantasmi buoni di chi non c’è più.
«Cosa volevate fare, prendere il potere? Perché se si trattava di questo, avete fatto fiasco completo.»
La presenza di un figlio induce Erri De Luca a guardarsi dentro, a rimettere in discussione alcuni princìpi e a giustificarne altri. Come di fronte ai “perché” di un bambino — e qui davanti c’è un uomo — non sono ammessi inciampi, reticenze, incongruenze.
Tra le pagine dello scrittore napoletano non esistono dunque compiacimento né autocelebrazione, semmai una discreta forma di benevolenza verso sé stesso prima che verso gli altri: con il pretesto di instaurare una qualsiasi relazione con il “figlio”, il racconto si fa autobiografico e ripercorre l’infanzia e il rapporto con i genitori, l’epoca delle lotte e dell’impegno politico, profonde riflessioni sulla fede e sul concetto di verità.
Leggere queste righe, indipendentemente dal fatto di essere padri, restituisce un senso di tepore umano, che non deve condurre all’inebriamento bensì alla ricerca delle infinite possibilità che la vita ci offre.
«Sei adulto, non so niente di come eri prima. Non ti ho rimproverato per un gioco rischioso da bambino, né toccato la febbre sulla fronte. Ci troviamo stasera a tavola, per cena. Una donna in gioventù mi disse di avere abortito. Stetti zitto, non contavo niente nella sua decisione presa e fatta. Stavamo insieme dentro una folla di coetanei. Era un amore e un tempo che non si poteva e non si badava a vita privata.»