Poche ma buone: le pagine di Juan Rulfo
In letteratura, come nella vita, non c’è una diretta correlazione fra qualità e quantità: esistono stupende opere torrenziali, così come romanzi brevi e racconti lunghi da cestinare all’istante. E viceversa.
È però motivo di grande soddisfazione incontrare autori sintetici ed essenziali come Juan Rulfo, capaci di condensare in poche ed eccezionali righe dei piccoli capolavori. O meglio, un unico capolavoro come Pedro Páramo, che è di fatto il singolo gioiello di una produzione che arriva a poche centinaia di pagine.
Rulfo, nato a San Gabriel in Messico nel 1917 e morto non ancora settantenne, scrisse praticamente solo questo libro, che era stato preparato dagli schizzi e dagli abbozzi della Pianura in fiamme e poi seguito da un breve testo per il cinema, Il gallo d’oro.
L’ultima edizione italiana di Pedro Páramo, tradotta da Paolo Collo, è quella Einaudi del 2014, con prefazione di Ernesto Franco, primo e vero artefice della (ri)scoperta dello scrittore messicano.
La storia, che ha perfino appassionato Netflix al punto da prevederne una serie in uscita il 6 novembre 2024, vede Juan Preciado alla ricerca del padre mai conosciuto, quel Pedro Páramo che viveva a Comala, triste e depressa landa del continente ispano-americano.
Il protagonista torna così sulle tracce paterne, affrontando ombre, dicerie, voci e soprattutto echi provenienti da luoghi misteriosi (“Vedo cose e gente dove forse voi non vedete nulla”), non riuscendo sempre a discernere il vero dall’illusorio. Schegge di vita prendono forma, esistenze in frantumi reclamano carne: nel pueblo immaginato da Rulfo tutto assume un carattere metafisico.
Tra le pagine di questo gioiello, vero punto di svolta della narrativa ispano-americana del Novecento, per la prima volta la cultura di un intero continente riesce a trovare una propria voce. Una voce e uno stile in parte mutuati dall’americano Faulkner ma antesignani del realismo magico di Garcia Marquez, che fu grande estimatore di Rulfo alla pari di Cortázar e Borges.
Come ha giustamente fatto notare Goffredo Fofi nella sua rubrica Compagni di strada su Lucy, vale la pena riscoprire e apprezzare Juan Rulfo, “anche per contrastare il diluvio di parole di una letteratura contemporanea iper-democratica, a-selettiva e tremendamente ciarliera, inessenziale, nel tempo in cui chiunque scrive può pubblicare.”