Restare in ascolto del silenzio
Cupo, profetico, straniante, perturbante. In una parola, delilliano.
Si presenta così — e diversamente non potrebbe — Il silenzio di Don Delillo, romanzo breve portato in Italia lo scorso febbraio da Einaudi con la puntuale traduzione di Federica Aceto.
Siamo nel 2022 e un black-out travolge Manhattan, forse New York e il mondo intero.
Max e Diane sono in volo tra Parigi e New York quando l’aereo è costretto a un atterraggio di emergenza che mette a rischio l’incolumità dei passeggeri; nel frattempo ad attenderli nella propria abitazione ci sono Tessa, Jim e il giovane Martin (geniale ex studente di Tessa), sintonizzati sulla finale del Super Bowl che, proprio a causa della repentina interruzione elettrica, non andrà mai in onda.
A interrompersi non è semplicemente il segnale televisivo: si spengono al contempo tutti dispositivi tecnologici, gli schermi, di fatto la realtà parallela e onnipresente, che costringe i cinque protagonisti a dialogare e probabilmente a vivere (del resto “la vita a volte può diventare cosí interessante che ci dimentichiamo di avere paura”).
Che fare dunque in assenza di internet, social network e di tutte quelle rappresentazioni che ci accompagnano nel quotidiano e che, nella loro pervasività, sono ormai nostri insostituibili compagni?
La prima risposta è appunto il silenzio, ma la forza di uno dei più grandi scrittori americani sta proprio nell’affrontare, nel tempo reale della narrazione, gli effetti che una dissolvenza epocale può avere sulla natura umana. Ciascuno dei cinque personaggi reagisce in maniera personale e imprevedibile (Max riproducendo, come in trance, la telecronaca della partita; Martin dispensando leggi fisiche e morali einsteiniane), facendoci immergere nello schermo nero, in questo buco nero dell’incomunicabilità che, nemmeno troppo inconsciamente, può diventare desiderio di pausa, ritiro, riflessione.
Come in altri lavori precedenti, anche in questa sorta di atto teatrale Delillo disvela ma non impone, suggerisce ma non insegna, mostrando che anche la tanto agognata “normalità” non è affatto rassicurante.
«Tendere alle cose fisiche piú semplici. Toccare, percepire, mordere, masticare. Il corpo alla fine fa di testa sua.»