Se smettiamo di capire il mondo

Letteratume
3 min readNov 10, 2021

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Tra i desideri umani un posto di tutto rispetto è occupato dal desiderio di conoscenza.

Cosa accade però quando viene meno la comprensione del mondo che ci circonda? L’interrogativo al centro del saggio di Benjamín Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi con traduzione di Lisa Topi), è di quelli possono togliere il sonno e la ragione (accade a qualche “personaggio” di questa storia) e che possono rendere libri come questo singolari oggetti narrativi.

Einstein, Heisenberg, Grothendieck, Haber, Mochizuki, Schwarzschild, Schrödinger provano strenuamente — e in qualche caso riescono — a capire il mondo attraverso tentativi ed errori, prove e studi, sofferenze (molte) e gioie (poche). Abile anche Labatut a mescolare sapientemente la realtà fattuale (storia, documenti, bibliografie) e l’esigenza narrativa, come ricordato dallo stesso autore nella parte dedicata ai ringraziamenti.

Il dilemma degli scienziati riguarda da un lato l’applicazione del metodo scientifico a propositi benefici ed evolutivi, quando invece se ne vedono spesso le nefaste conseguenze (gas, bombe, pesticidi), dall’altro l’ineluttabile desiderio di conoscere cosa c’è oltre, provando a scoprire i princìpi della meccanica quantistica e le complicate differenze tra onde e particelle.

Lo sviluppo narrativo consente perfino ai meno avvezzi alle tematiche scientifiche di godere appieno delle atmosfere tratteggiate da Labatut: le vite dei protagonisti convivono con le loro scoperte, mettendone in evidenza i desideri erotici (Schrodinger), le frustrazioni, le malattie (Schwartzschild), ma soprattutto gli inestricabili e spesso invisibili fili che tengono insieme le tessere del puzzle.

Congresso di Solvay 1927

Questo fil rouge tiene perciò insieme studiosi e personaggi unici nel loro modo di dare un senso alla realtà: c’è il misterioso “blogger” giapponese Shinichi Mochizuki, che serve da grimaldello per entrare nel mondo del tormentato Alexander Grothendieck; c’è l’infaticabile Schrödinger alle prese con i fondamenti della chimica e della fisica moderne, in perenne conflitto con quell’Heisenberg primo nemico di se stesso; c’è anche Albert Einstein che considera la teoria della meccanica quantistica “il sistema delirante di un paranoico dotato di una straordinaria intelligenza, un vero cocktail di pensieri incoerenti”.

In ogni storia c’è una inevitabile follia e l’insopprimibile necessità di capire, accompagnata dalla consapevolezza che non si può capire il mondo così com’è: tra le pagine si scorge un raffinato metodo che salda una ricercata casualità (narrazione a zig zag), una fervida ispirazione e una prosa variegata e magnetica.

Nel saggio di Labatut, letteratura e scienza sono felicemente unite da inscindibili nessi e vengono spesso utilizzate a parti invertite, con scienziati fin troppo umani nelle rispettive debolezze, sospesi tra ricerche febbrili e desideri avviluppanti. Un delirante e allucinante epilogo proverà a segnare la cesura tra la realtà e la fantasia, tra il mistero e la concretezza.

«Soffrii impotente mentre assistevo alla distruzione della mia consapevolezza del tempo, della mia incrollabile determinazione, del mio senso del dovere e della proporzione! E a chi dobbiamo questo meraviglioso inferno, se non a voi? Mi dica quando ha avuto inizio tutta questa follia, professore. Quand’è che abbiamo smesso di capire il mondo?».

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