Sogno e son desto

Letteratume
2 min readFeb 17, 2020

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gettyimages_Roberto Serra-Iguana Press

A cento anni dalla nascita di Federico Fellini, Daniel Pennac non poteva fare regalo più gradito ai suoi lettori e agli ammiratori del Maestro riminese.

Tutto parte da un poster del regista posizionato nella camera del Pennac bambino: inizia così La legge del sognatore, romanzo continuamente sospeso tra sogno e realtà che si dispiega in mille dedali onirici, in parossistici rivoli che dispensano fantasie ma non certezze.

Un’avventurosa gita che forse non c’è mai stata, un liquido che sgorga da una luce, un paese sommerso. Quindi l’amicizia che dura una vita, la vecchiaia che non è mai padrona dei propri stupori, la presenza discreta di genitori che appaiono e scompaiono.

Cosa è vero e cosa è sogno? Sogno e son desto, sembra suggerirci Pennac spingendoci verso un adrenalinico crinale.

«Quella gita con tanto di immersione non c’era mai stata. Nemmeno la proposta di farla. Eravamo due vecchi rincoglioniti svegliatisi nei loro letti gemelli. Neanche i nostri pigiami erano un gran bel vedere. Ho aperto la finestra per arieggiare un po’ la stanza.»

Lontano dalle intrepide venture di Malaussène, lo scrittore francese pennella un testo ben calibrato nei suoi saliscendi interpretativi e non perde mai l’occasione di glorificare la grandezza di quell’uomo “popolato” che è stato (e che ancora è) Federico Fellini.

L’allestimento di uno spettacolo a lui dedicato, culminato in scene di film tipicamente felliniane, è l’ulteriore pretesto per chiedersi dove e quando abbiamo cominciato a sognare. Smettere di farlo sarebbe proprio la più grande disfatta, ed è per questo che, tra un enigmatico San Sebastiano e un perenne tributo alla magica arte cinematografica, Pennac e il suo inconscio decidono di mettersi in viaggio alla ricerca del significato della vita.

«Una scansione cronologica — infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia — e mostrava una certa coerenza tematica. Fellini mi accompagnava lungo tutta questa narrazione come una specie di filo rosso, una cuginanza a cui il mio inconscio sembrava tenere molto.»

Grazie al delicato elogio di Pennac, La legge del sognatore si rivela dunque il posto migliore per ospitare il labirintico fervore creativo di Federico Fellini.

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