Splende sempre la stella di Bolaño
Poeta autodidatta che, travestito da pilota, disegna versi nell’aria? Oppure assassino camuffato da operatore di film porno?
Nella dicotomia insita in Alberto Ruiz-Tagle/Carlos Wieder c’è tutta l’analisi umana e psicologica mai lesinata da Roberto Bolaño nelle sue opere: in Stella distante (Adelphi, traduzione di Barbara Bertoni) esce rafforzata la fervida volontà di legare una prosa secca, fresca, colloquiale con una trama intricata e degna di un poliziesco di nobile lignaggio.
Anche in questo breve romanzo aleggia un’atmosfera borgesiana, soprattutto quando si viene risucchiati dall’effetto matrioska di luoghi, fatti, personaggi che rendono l’intrico avvincente e ironicamente inquietante.
Siamo nel Cile di Pinochet e un’accolita di poeti marxisti trova il tempo, malgrado la temperie politica e in attesa di avvalersi della lotta armata, di alternare incontri conviviali e aspirazioni letterarie, fino a quando uno di loro — il più bello e carismatico, ma anche il più misterioso — scompare nel nulla lasciando dietro di sé lunghe scie di sangue.
Saranno un ostinato poliziotto sul viale del tramonto e due giovani coraggiosi (Bibiano O’Ryan e il neanche troppo convinto narratore) a preoccuparsi di riannodare i fili di un’esistenza, quella di Alberto/Carlos, ricca più di ombre che di luci.
Il percorso verso la verità (esiste una verità?) è accidentato e sdrucciolevole, pericoloso e tutt’altro che consolatorio, costringendo gli attori a girovagare tra Cile e Spagna, tra Tel Quel e Oulipo, tra vicende grottesche e fiabesche.
La poesia cilena è la grande protagonista di una storia dal ritmo incalzante, in cui giovani intellettuali sgomitano per trovare un posto nel mondo (a patto di sopravvivere), facendo presto i conti con la bilancia dell’esistenza che, nel pesare sogni e incubi, lascia sempre più peso a questi ultimi.
Attraverso uno stile rarefatto e uno sguardo tagliente, Bolaño regala ancora una volta notevoli pagine di pura letteratura.