Sul nostro scaffale ci sarà sempre posto per Aglaja Veteranyi

Letteratume
2 min readJan 22, 2022

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Peccato che Aglaja Veteranyi se ne sia andata così presto, suicida a quarant’anni nel lago di Zurigo.

Peccato perché i suoi unici due libri arrivati in Italia grazie a Keller, coraggioso e innovativo editore trentino, trasudano quell’inquieta ironia e quella suadente irregolarità che fanno desiderare numerosi seguiti.

Perché il bambino cuoce nella polenta (ne riparleremo) è stato pubblicato nel 2020, mentre è dello scorso anno il gradito ritorno de Lo scaffale degli ultimi respiri (traduzione dal tedesco di Angela Lorenzini), altro esercizio autobiografico della scrittrice romena naturalizzata svizzera, di estrazione circense e di natura girovaga.

La morte dell’amata zia fa emergere, dalla memoria della giovane protagonista, una ridda di ricordi che fanno rivivere personaggi improbabili (e proprio per questo verissimi) e situazioni surreali: uno zio artista gay e amico dei rifugiati, parenti ingombranti, una madre volubile, e poi lingue e profumi che si mescolano con riti ancestrali, come quello che prevede di lavare il grano nove volte prima di trasformarlo in dolce dei defunti.

Tra le pagine di Veteranyi non si scorgono motivi di consolazione, ma solo inseguimenti febbrili di una stabile e appagante condizione affettiva, abitativa, linguistica e politica.

Si alternano così slanci poetici (“Mia madre e io non avevamo una lingua in comune. Solo parole”) e inni scatologici (“Nella povertà persino la cacca impanata è una prelibatezza”), volti a dare brio e ritmo a una narrazione formicolante di vita.

Alla lunga il nomadismo dei circensi si farà sentire e non avere una casa potrà costituire un problema, ma ad accompagnare la protagonista e la sua sgangherata compagnia ci saranno girotondi, mazzi di fiori, tramonti, apolidi e immigrati in cerca di sicurezze e ancora tanta poesia.

E se davvero non ci sarà redenzione, allora non ci resterà che (sor)ridere, ammaltati dalla penna irrequieta e acuminata di Aglaja.

Attraverso una prosa semplice, rapsodica in alcuni momenti, compassata in altri, si vive dunque a stretto contatto con l’io della scrittrice e con la consapevolezza che se la Svizzera non è il luogo degli affetti, saranno quindi le storie a disegnare i confini delle patrie interiori.

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