Un anno di letture resistenti.

Letteratume
10 min readDec 20, 2021

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Sedici libri (più uno) per resistere al 2021.

©pixabay

Cos’è questa smania di tirare somme, fare bilanci, scrivere classifiche e redigere liste?

Non è dato saperlo, eppure, per quanto trita, ritrita e consunta, è la tendenza più rassicurante per abbandonare il vecchio e abbracciare il nuovo. Ed è fortunatamente uno dei pochi modi per affidarsi a un’ipotetica idea di normalità, dopo quasi due anni di pandemia. Ed è il modo migliore per resistere.

Questo per dire che anche il 2021 è stato un anno di grandi letture, classiche e imprevedibili, splendide e fantasiose.

Come accade dal 2018, ho vergato di mio pugno — ahimè — una lista di sedici libri (più uno) pubblicati nell’anno che sta per concludersi e che, a mio parere, lasciano qualcosa di nuovo, bello, straniante.

Se letteratura fa rima con cura

È sbagliato pensare che la letteratura debba essere qualcosa di soffice, pacifico, conciliante.

I più bei libri sono cazzotti nello stomaco, colpi bassi o specchi che restituiscono un’immagine imperfetta e deforme, la nostra (e quindi bellissima in quanto mortale), ma sono anche libri che aiutano a curare (le parole, le vite, l’anima).

Per questo motivo il libro di Francesca Mannocchi, Bianco è il colore del danno (Einaudi), assume un valore impareggiabile per la sua capacità di raccontare il pubblico e il privato con un tono secco e luminoso e mai retorico e sbrigativo: c’è la sua vita da inviata di guerra e sui fronti “caldi” e c’è la sua quotidianità segnata da una malattia e da mutazioni che investono l’anima.

Il risultato è un racconto delicato che investe il suo nuovo modo di affrontare le cose ma anche il nostro interrogarci sull’essere al mondo.

Curare vuol dire anche preoccuparsi, occuparsi prima che la cronaca fagociti la realtà.

Che si tratti di diritti umani, di lavoro o di ambiente, un libro ben scritto può fare molto.

È il caso di Voglio solo tornare a studiare, un testo nato come un work in progress, pensato e curato da Marco Vassalotti per People, che ha di fatto accompagnato per quasi due anni l’ingiusta detenzione di Patrick Zaki, culminata con la scarcerazione (ma non l’assoluzione) di pochi giorni fa.

Lo studente dell’Università di Bologna, attivo nella difesa dei diritti umani e di genere, ha di fatto scritto il diario della sua prigionia, potendo contare su numerosi sostenitori (più o meno sinceri), ma se non ha visto calare il buio sulla sua vicenda lo deve anche a gente come Vassalotti e Civati (oltre alla sempre presente Amnesty International e ad altre Ong).

Allo stesso modo Daniel Pennac non dimentica gli ultimi e scrive Loro siamo noi (traduzione di Yasmina Mélaouah), un vibrante appello all’Europa affinché non chiuda le porte a migranti, rifugiati e richiedenti asilo.

Grazie a Marotta&Cafiero editori, “spacciatori di libri all’ombra del Vesuvio” già meritevoli di aver pubblicato la migliore narrativa civile partenopea e italiana, oltre a pezzi da novanta come Stephen King e premi Nobel come Günter Grass, prende dunque vita un pamphlet intenso, impreziosito dalle immagini del fotografo napoletano Roberto Salomone, in cui prevalgono la riflessione e l’attenzione al prossimo.

Anche il mondo del lavoro necessita di riflettori e amplificatori che non facciano dimenticare ciò che accade in termini di tutele e diritti, pretese e aspirazioni.

Affidarsi a un romanzo spagnolo degli anni ’30 qualche domanda dovrebbe farla sorgere, eppure Tea Rooms di Luisa Carnés, abilmente tradotto da Alberto Prunetti per Edizioni Alegre, riassume perfettamente l’importanza delle rivendicazioni sociali, lavorative e femministe di una donna, costretta a indossare una maschera e a svolgere un ruolo in aperta contraddizione con le aspirazioni di riscatto sociale.

Un romanzo che risente di un clima e di pregiudizi non troppo lontani: cameriere/i di tutto il mondo, unitevi!

Non meno cura serve e servirà al nostro pianeta: ancor meglio se la letteratura, oltre che farsi portavoce del bisogno di un legame ancestrale con la terra, riesce a coniugare il suo intento morale con quello narrativo.

Nasce così un romanzo elegante e raffinato come In terra straniera gli alberi parlano arabo di Usama Al Shahmani (Marcos y Marcos con traduzione di Sandro Bianconi), perfetto connubio di storia familiare intrecciata con un sentimentale elogio della natura.

Usama lascia l’Iraq portandosi dietro violenza e orrore per le stragi di Bagdad, conflitti familiari e zero soldi, per poi scoprire, arrivato in Svizzera, che c’è ancora spazio per la poesia e per la contemplazione. Basta appellarsi alla Terra, alla natura, agli alberi e si può ancora sperare.

Saghe di spasulati, oulipiani, dostojevskiani…e Wes Anderson

Mettere a dura prova logica e scienza, confondendo abilmente verità e menzogna, il tutto con l’avviluppante brio di cui è capace un Oulipista. È questo l’obiettivo di Hervé Le Tellier, premio Goncourt con L’anomalia (in Italia grazie a La nave di Teseo e alla traduzione di Anna D’Elia) e appunto presidente dell’Oulipo.

C’è del genio in una storia in cui un Boeing 787 di Air France scompare dai radar della torre di controllo per riapparire dopo tre mesi: le vite dei suoi passeggeri cambiano totalmente impedendoci di capire chi sia l’originale e chi il suo doppio (ammesso che sia così). Un giallo linguistico e metaletterario, che fonde ritmo, pathos e quelle trovate lessicali tanto care a Queneau e Perec.

Proprio Georges Perec torna alla vigilia del quarantennale dalla morte grazie a Quodlibet che, un po’ per volta, riporta alle stampe pezzi pregiati della produzione del folletto francese caro a Italo Calvino.

È doveroso, finché è possibile, che un singolo editore (complice Ermanno Cavazzoni) si faccia carico dell’opera di un autore tanto singolare quanto sottovalutato: nel 2021 è tornato, fra gli altri, Cantatrix Sopranica L. e altri scritti scientifici, una esplosiva miscellanea di testi arguti e insoliti, piacevoli e sghembi che assumono talvolta un taglio scientifico, talvolta sociologico, ma che sono sempre accompagnati da uno stile caricaturarle e avvezzo alla parodia.

Pomodori, farfalle, Roussel: si gioca con tutto e per questo motivo, tutto è da prendere felicemente sul serio.

Capacità astrattive, di scrittura sublime e di coinvolgimento difficili da trovare nella letteratura contemporanea sono anche quelle di Paolo Nori che, esperita la storia e l’opera degli scrittori russi, si cimenta con il maestro Fëdor Dostoevskij, dimostrando che narrare una sola vita equivale a viverne due.

Definire Sanguina ancora (Mondadori) una biografia romanzata non renderebbe merito al prezioso lavoro di scavo e di illuminante rappresentazione che fa Nori: Delitto e castigo, alcuni piccoli e deliziosi dettagli, stranianti analogie e una ferita che non smette di sanguinare, rendono questa storia indimenticabile.

L’Appennino abruzzese è invece il teatro di una saga corale che ha per protagonisti gli spasulati (ancora loro, gli ultimi) colpiti dalla Cosa Brutta e rappresentati da Mengo, ultimo cantore di una civiltà in via di estinzione. Remo Rapino torna sui passi di Bonfiglio Liborio, scrivendo Cronache dalle terre di Scarciafratta (minimum fax), ultimo avamposto di cui si riesce a serbare memoria, attraverso gioie e dolori, risate e lacrime e grazie soprattutto all’opera documentale di Mengo.

Si ride e si pensa anche con Felicia, Edgar e Army.

Sono loro gli attori principali di Riproduzione di Ian Williams (Keller con traduzione di Elvira Grassi), una storia di legami di sangue mancati e ritrovati, e di incontro-scontro fra culture; il tutto correndo leggeri sul crinale che separa la vita dalla morte.

Perdersi e ritrovarsi può essere esilarante in un romanzo corale che celebra, con gioia e lirismo, la complessità dei rapporti umani.

«Ora capisco cosa significa essere “quasi per caso” se stessi. Grazie. Non ho ancora le idee chiare su cosa significhi essere “deliberatamente” me stesso, ammesso che io sia proprio questo, ma non importa».

Bastano poche parole in prefazione, scritte dallo stesso “oggetto” del libro, per capire che Wes Anderson è un universo a sé stante.

Questo libro fotografico de il SaggiatoreWes Anderson, quasi per caso — tratto dal profilo Instagram di Wally Koval e da duecento posti “wesandersoniani” in giro per il mondo, è la perfetta testimonianza dell’estetica lirica e agrodolce del regista di Grand Budapest Hotel e di The French Dispatch.

Parole, lettere, libri per non smettere di capire il mondo

Cose, spiegate bene è stata la prima rivista di carta del Post, pubblicata da Iperborea.

Ritrovare nel mondo “cartaceo” lo spirito e la competenza di uno dei giornali on line più curati e rappresentativi del decennio è stata un’autentica epifania.

La prima uscita, dedicata al mondo dei libri, ha dunque rivestito un’importanza cruciale, vista la conclamata capacità dei redattori di spiegare bene le cose: A proposito di libri è una gradevole passeggiata narrativa tra produzione, consumo, vendita, numeri e professioni di un mondo affascinante, con i preziosi contributi di Concita De Gregorio, Giacomo Papi, Francesco Piccolo, Michele Serra, Luca Sofri e Chiara Valerio.

Dal mondo dell’editoria si passa a quello del giornalismo attraverso il lavoro di Jill Abramson, prima donna a diventare direttrice esecutiva del New York Times e autrice di Mercanti di verità (Sellerio con la traduzione di Andrea Grechi e Chiara Rizzuto), che descrive le trasformazioni dell’ultimo ventennio incrociando le vicende di due importanti quotidiani (lo stesso NY Times e il Washington Post) con quelle di due seguitissmi siti di informazione on line (Vice e Buzzfeed).

Ne scaturisce una narrazione che unisce la scorrevolezza degli aneddoti alla precisione delle notizie, permettendo di comprendere i termini di una mutazione epocale.

Precisione e competenza sono anche i tratti distintivi del saggio I furiosi anni venti (Feltrinelli con la traduzione di Giancarlo Carlotti), attraverso cui Alec Ross, ex consigliere di Barack Obama e Hilary Clinton, prova a unire i puntini di una guerra che coinvolge Stati, aziende e persone, alle prese con l’individuazione di un nuovo contratto sociale.

L’Italia diventa così osservatorio privilegiato (Ross insegna alla Bologna Business School) per provare a comprendere quale sarà la sintesi tra big tech e stati iper-burocratici e come si potrà impedire che i cittadini diventino numeri privi di diritti.

Oltre all’economia e alla politica, anche la comunicazione necessita di una manutenzione ecologica: vanno in questa direzione i saggi di Daniel Gamper (Le parole migliori, edito da Treccani con la traduzione di Elisa Tramontin) e di Edoardo Albinati (Velo pietoso per Rizzoli).

Come si può rendere pulito il discorso pubblico? Come esercitare l’ascolto? Laddove non riescono politici, social e opinion leader, proverà il cittadino a difendersi dalla bulimia di comunicazione e dall’ubiquità delle reti.

Così il filosofo spagnolo suggerisce che le “parole migliori” sono tra noi, nei nostri piccoli e apparentemente irrilevanti gesti quotidiani; le parole che ci salveranno sono quelle della lingua, ma anche quelle delle radici, degli affetti, del destino.

Anche Albinati ha fortemente a cuore la cura del linguaggio, ma sceglie una strada più drastica e accidentata, verrebbe da dire felicemente idiosincratica se si guarda alla mole di parole sciatte, espressioni abusate e pompate, svendute e svalutate che mette alla berlina (affrontare quelli che sono i problemi, metterci la faccia, trovare la quadra, a schiena dritta).

Contro la retorica manipolazione della realtà imperante sui media e sui social (tracotanza, ingenuità e megalomania unite in un abbraccio letale), lo scrittore romano non intende convincere, ma soltanto (di)mostrare come si possono recuperare termini desueti, piccoli talismani, piccole cose, per ritrovare la libertà di comunicare in modo chiaro e non sdegnosamente retorico.

In conclusione, uno dei libri più innovativi e apprezzati del 2021.

Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Benjamín Labatut (Adelphi, tradotto da Lisa Topi) ha riscosso successo tra scienziati e umanisti, sacri e profani: le larghe intese dell’editoria non sono mai state così felici.

Cosa rende questo saggio-romanzo un unicum nel panorama letterario?

Forse il suo essere un libro per tutti i gusti che non si accontenta di accontentare: lieve per chi cerca profondità; profondo per chi cerca leggerezza; una storia di fisica per chi legge solo romanzi; un romanzo intricato per chi ha una mente scientifica.

Contemporaneo e post-moderno, è un libro caleidoscopico che muta di pagina in pagina senza mai abbandonare il lettore.

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