Un anno letto intensamente.
I migliori 16 libri del 2019, secondo me.
Cosa rende così affascinante abbandonarsi alle voluttuose classifiche sui migliori libri dell’anno?
Probabilmente nulla, se non la varietà e soggettività di proposte che ogni lettore o addetto ai lavori intende condividere, nella speranza di avviare una feconda spirale letteraria che da lettura faccia nascere nuova lettura. Proprio l’eterogeneità e l’elevata qualità espressiva delle uscite editoriali hanno fatto sì che il 2019 possa essere definito come “un anno letto intensamente”.
Al pari di quelli già recensiti su questo spazio, i migliori 16 libri dell’anno costituiscono quindi un personale discorso letterario che tiene insieme diversi modi di interpretare il saggio e il romanzo, la poesia e il teatro, la società, la politica, il linguaggio, la nostra stessa vita.
Buone letture!
Rievocare il passato, contrastare il presente, costruire il futuro.
In un periodo storico in cui le emergenze — climatica e migratoria — prendono il sopravvento schiacciandoci su un presente statico e in cui pericolose derive reazionarie sembrano l’unica risposta a minacce di dubbia provenienza, c’è chi si batte per dare un senso al proprio rapporto con il tempo.
Il passato, ad esempio, viene magistralmente raccontato da una bravissima storica. Vanessa Roghi, nel suo Piccola città (Laterza), trova il coraggio di ripercorrere, in un doloroso memoir che tocca gli affetti più cari, il significato che ha assunto l’eroina negli anni ’60 e ’70 nella sua Grosseto e in Italia.
Attraverso citazioni, riferimenti culturali e testimonianze dell’epoca, si giunge a tracciare una fenomenologia delle sostanze stupefacenti, viste come forma di ribellione ma che si riveleranno con il tempo armi di autodistruzione.
Il tentativo di scardinare il cosiddetto sistema può avvenire anche attraverso la conoscenza e la confutazione dialettica del presente. È ciò che fa Wolf Bukowski ne La buona educazione degli oppressi (Edizioni Alegre), un saggio che intende dimostrare che il decoro e la sicurezza, tanto ambite e inseguite da alcuni amministratori locali, altro non sono che escamotage propagandistici tesi a difendere i privilegi e a innescare una guerra tra poveri (i nostri nemici “sarebbero” i migranti, i lavavetri, i venditori ambulanti, i senzatetto).
Altra battaglia, che guarda al futuro, è quella contro gli sprechi e la dissoluzione del pianeta, oggetto dell’illuminante lavoro di Jonathan Franzen, La fine della fine della terra (Einaudi), con l’ottima traduzione di Silvia Pareschi.
Cambiamento climatico e social network, Trump, terrorismo e birdwatching, vengono tenuti insieme dallo stile lucido e graffiante dell’autore delle Correzioni. Capire la realtà circostante per generare un cambiamento, questa la missione.
In un ponte ideale tra passato, presente e futuro, si situa invece A casa loro (People), libro tratto dall’omonimo monologo teatrale di Giulio Cavalli e incentrato sui reportage giornalistici di Nello Scavo.
Un problema antico, dimenticato dal presente, ma con radici da piantare nel futuro: tale è la questione umanitaria che viene ripercorsa in un testo duro, potente, lacerante.
Qui potrete trovare una recensione più approfondita.
https://medium.com/@letteratume/casa-nostra-%C3%A8-casa-loro-f07615f63218
Resistere, resistere, scrivere.
Se la saggistica e il teatro, quando ben congegnati, riescono a squarciare il velo di opacità che aleggia sulla realtà, allora la narrativa si rivela in grado di esplorare spazi paralleli per evadere.
I tempi nuovi di Alessandro Robecchi (Sellerio) è un noir con un meccanismo narrativo perfetto: Carlo Monterossi si oppone alla propria condizione di autore tv di successo ma refrattario ai “tempi nuovi” fatti di sensazionalismo e spazzatura, e si ritrova per caso ad indagare su una morte misteriosa. Lì dove non arriva l’esperienza, subentrano l’acume, il paradosso, l’ironia e perfino il disincanto, con esiti sorprendenti.
Importanti sacche di resistenza sono presenti anche in Milkman di Anna Burns (Keller, traduzione di Elvira Grassi), dove alle luci e ombre di una Irlanda bigotta e diffidente fanno da contraltare l’energia e la stravaganza di Sorella di Mezzo. L’incontro con il “lattaio” segnerà il compimento della rivendicazione della propria libertà di azione e di pensiero. Uno dei romanzi più potenti e divertenti del decennio.
Un viaggio in paesaggi desertici, tra speranze e motel, tra sogni e città di frontiera, è al centro di Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli (La nuova frontiera).
L’America delle migrazioni e dei bambini smarriti in cerca di un domani, vista nei suoi conflitti e nelle sue contraddizioni, è l’apoteosi di un certo tipo di letteratura, che incontra la vita in uno scambio reciproco di idee ed emozioni. Ribellarsi a un futuro già scritto è quanto dobbiamo recriminare per quei bambini con un numero di telefono cucito sui vestiti. Notevole la traduzione di Tommaso Pincio.
Desiderio di rivalsa nonostante tutto è anche quello del protagonista di Kamikaze d’Occidente di Tiziano Scarpa (minimum fax), scrittore dedito al più antico mestiere del mondo ma intanto investito dal governo cinese dell’ingrato compito di dimostrare il declino della civiltà europea e sbarrare il campo al Dragone Rosso. Mettendo al bando retorica e formalismi, Scarpa dimostrerà che anche un solo slancio di passione basterà a salvarci.
Linguaggio senza limiti, mondo senza limiti.
Se come sosteneva Wittgenstein “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”, lavorare sulla lingua e sulle sue affascinanti possibilità combinatorie significa allora superare i confini della propria esperienza.
Nel rutilante saggio Oltre abita il silenzio (il Saggiatore), Enrico Terrinoni si serve della sua vertiginosa esperienza di traduzione di Joyce per regalare un capolavoro di teoria della traduzione, ovvero un lavoro di torsione immaginifica della parola che arriva fino all’apice della creatività del silenzio. Oltre all’immancabile autore dell’Ulisse e di Finnegans Wake, tra i sorprendenti compagni di viaggio di questa infinita traduzione (lingua, idee, sentimenti) figurano lo stesso Wittgenstein, Shakespeare, il Vangelo di Matteo, Alessandro Bergonzoni, Natalia Ginzburg, Stefano Rosso, John Florio e Giordano Bruno.
La traduzione è una forma di scrittura, ma secondo Kenneth Goldsmith, tradotto da Valerio Mannucci, esistono forme di ri-scrittura non meno nobili, come l’elaborazione testi e la programmazione. Scrittura non creativa (Produzioni Nero) indaga proprio il nuovo ruolo dello scrittore, alle prese con le sfide provenienti dalle contaminazioni digitali e dalla proliferazione di testi e immagini che abbiamo di fronte ogni giorno. Passando da esperienze di videoscrittura e da performance situazioniste fino ad arrivare alla videoarte, il saggio mette in luce la possibilità che perfino il furto e l’appropriazione possano essere considerate letteratura.
Una spiazzante verve lessicale è al centro del romanzo Lo stradone di Francesco Pecoraro (Ponte alle Grazie): neologismi e neo-dialetto, registro colto e specialistico, sono funzionali a una narrazione che parte da uno stradone per arrivare a osservare in filigrana i mutamenti dell’ultimo secolo. Con una prosa ibrida tra saggio e romanzo, il protagonista ci accompagna lungo esperienze personali (il Maestro), politiche (il Partito), sociali (il bar Porcacci) consegnando uno spaccato né accomodante né consolatorio, ma intriso di pietà per se stessi e per gli altri.
Cosa accade infine quando il linguaggio letterario, dopo essersi fatto romanzo, saggio, poesia, sconfina nel cinema, nella musica, nell’arte?
Accade che sei Michel Houellebecq e hai dato vita a Cahier (La nave di Teseo), un’opera mondo sulla vita dello scrittore francese, presentato nelle sue molteplici sfaccettature e attività. Si danno il cambio sulla scena: Julian Barnes, Emmanuel Carrère, Teresa Cremisi, Bret Easton Ellis, Bernard-Henry Lévy, Michel Onfray, Iggy Pop, Yasmina Reza, Salman Rushdie e, ovviamente, Houellebecq con alcuni imperdibili testi inediti.
Bizzarria, ironia e disincanto.
Che i tempi siano nuovi, moderni o difficili, una sana dose di bizzarria aiuta ad affrontare qualsiasi ostacolo.
Intramontabile a cento anni dalla nascita è Rodolfo J. Wilcock il cui Libro dei mostri è tornato alle stampe dopo quattro decenni grazie a Adelphi, che ha permesso di far apprezzare Branco Oligi e compagni anche a un pubblico più giovane. Urtanti, stranianti, esilaranti, grotteschi, viscidi: così si presentano i mostri di Wilcock, bersagli di una satira che non ha tempo e che, senza consolazione e con fervida immaginazione, tira in ballo anche noi.
Non meno bizzarri risultano i protagonisti di Novelle disincantate (Racconti edizioni), premio Goncourt per il racconto nel 1990 e opera di rilievo dell’“oulipista” e patafisico Jacques Bens. Con taglio ironico e pseudoscientifico si affastellano storie improbabili che lambiscono religione e meteorologia, musica e ittica, in un gustoso affresco che rende piena giustizia a ogni possibile forma di assurdo e paradosso, grazie anche alla riuscita traduzione di Sofia Buccaro.
Uno scrittore precario, un amore più pratico che romantico, una prosa tanto secca e anticonvenzionale quanto seducente. Ottanta rose mezz’ora di Cristiano Cavina (Marcos y Marcos) è un piccolo gioiello narrativo che gioca con i sentimenti per mostrarne il lato meno ordinario e più disincantato, che affronta temi attuali senza scadere nel cliché e che infine lascia in ricordo una inebriante sensazione (di rose?).
Un regno di infinite possibilità di esistere, che spazia dall’assurdo al tenero, dal caustico al commiserevole, è il cuore di Un intoppo ai limiti della galassia di Etgar Keret (Feltrinelli; traduzione di Alessandra Shomroni).
L’ironia e l’equilibrata dissacrazione sono da sempre le cifre distintive dello scrittore israeliano, che stavolta ha accentuato la componente agrodolce e malincomica, lasciando campo libero allo sguardo di un bambino o di un adulto. Questo modo di osservare dimostra che l’ingenuità non è mai banalità e che spesso l’aggressività è solo un appiglio per poter stare al mondo.