Una religione civile per restare umani

Letteratume
3 min readMay 30, 2023

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Quando Carlo Levi scrisse un saggio a corredo del volume di fotografie in bianco e nero scattate da János Reismann, dapprima pubblicato nel 1959 dall’editore Belser di Stoccarda e l’anno seguente in Italia per Einaudi con il titolo Un volto che ci somiglia, accompagnò la descrizione di noti monumenti e bellezze del nostro Paese con parole liriche e incisive: “Nessun luogo, nessun paese del mondo forse è stato così guardato come il mio, come l’Italia. Milioni e milioni di occhi in migliaia di anni non interrotti (…). Se gli occhi guardano con amore, se amore guarda, essi vedono…”.

È da questa suggestione che parte Tomaso Montanari, storico dell’arte e Rettore dell’Università per stranieri di Siena, per fare una densa riflessione sul patrimonio culturale del nostro Paese: Se amore guarda (Einaudi) prende le mosse proprio dalla frase di Levi e ci invita a guardare le chiese, le grandi opere, gli archi e i templi, ma anche le città, i monti e gli alberi con uno sguardo diverso, che non sia appiattito sul presente.

Da bravo saggista e stimato professore universitario a Napoli e a Siena dei corsi di Storia del patrimonio culturale e di Educazione al patrimonio culturale, Montanari rifugge da ogni tentativo di definizione e da ansie da classificazione, suddividendo la trattazione in sette capitoli strettamente connessi tra loro e da un succoso apparato bibliografico.

Fin dai primi capitoli ci viene ricordato che il nostro patrimonio è una “religione civile”, un appello alla fraternità tra umani, una spinta all’educazione, intesa “come inclinazione al rapporto con i luoghi”, ma anche un serbatoio di simboli e significati che si scontrano (civilmente) e si rinnovano proprio perché eterni.

Del resto, come ammoniva Raffaello a proposito della distruzione di Roma per mano dei Romani stessi, dei papi e degli architetti, il nuovo non deve necessariamente nascere a spese dell’antico.

L’educazione sentimentale di cui parla l’autore risiede anche nella nostra capacità di sentirci non più clienti, consumatori, utenti, ma semplicemente umani, e nella collegata consapevolezza che la nostra identità nasce nella contraddizione.

Non a caso si parla di “identità porose” (basti pensare che le identità nazionali vengono definite a posteriori e che non esiste dunque un’identità italiana), che in quanto aperte al mondo sono rappresentate da una molteplicità di paesaggi, città, palazzi, chiese contrassegnati da diversi stili, forme, biografie, corpi, che rendono l’Italia una somma di infinite fusioni e gli italiani cittadini multiculturali.

“Il nostro noi si è formato grazie a una somma di loro”, ricorda Montanari, che prosegue così, attraverso una scrittura piana e mai pedante, la sua meritoria opera di raffinata e appassionata divulgazione dimostrando che per essere cittadini attivi bisogna conoscere il patrimonio culturale e le multiformi radici che ci accomunano.

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