Una risata (non) ci seppellirà

Letteratume
3 min readMay 24, 2020

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Ridere ci rende umani, universali, talvolta controcorrente.

Si ride per comunicare, per liberarsi, per giudicare.

Una volta deciso che rideo ergo sum, è interessante capire come possano coesistere umorismo e analisi dell’umorismo.

È ciò che fa Terry Eagleton nel saggio Breve storia della risata: un esperimento ben riuscito, perché in circa 200 pagine riusciamo ad apprezzare la godibile alternanza di teoria e pratica, di svelamento dei meccanismi di funzionamento di una battuta e della sua stessa enunciazione.

Platone e Aristotele, tra i primi, inquadrano la comicità come “derisione malevola”, ma il vero viaggio comincia con il Medioevo, con Rabelais e la prorompente forza liberatoria del Carnevale, prosegue facendo un’incursione nell’Illuminismo e nella risata arguta, per poi lasciarci in compagnia di Nietzsche (“l’animale umano è l’unico a ridere perché soffre così atrocemente da aver bisogno di inventarsi questo disperato palliativo per le sue afflizioni”), Hegel, Freud…e dei Monty Phyton.

Il percorso tracciato da Eagleton mostra le finalità che si celano dietro un motto di spirito, le conseguenze del ricorso all’umorismo, le reazioni dell’uditorio, il tutto nella consapevolezza che l’umorismo e la sua messa in scena esistono per sparigliare le carte e per scardinare l’ordine razionale, ordinato e virtuoso del cosmo.

Gargantua e Pantagruele (Illustrazione di Gustave Doré)

Scopriamo così che dentro una boutade può annidarsi un impulso represso o una forma di sublimazione che ci consente di rilassare “i nostri muscoli mentali”.

«Si ride quando qualche fenomeno sembra improvvisamente fuori luogo, quando le cose vengono spinte via dai binari o disallineate. Tale comicità rappresenta una momentanea tregua dalla tirannica leggibilità del mondo, un regno di innocenza perduta che precede la nostra rovinosa caduta nel significato.»

Per inquadrare pienamente il fenomeno, Eagleton fa più volte ricorso alla cosiddetta “teoria della superiorità dell’umorismo” che, se da un lato, ha il pregio di mostrare la forza corrosiva nel giudicare le imperfezioni altrui, dall’altro ha il limite di ritenere che questo processo vada solo dall’alto verso il basso: l’esempio più convincente viene da Beckett e da quel capolavoro di umorismo tragico rappresentato da Aspettando Godot.

Non riescono nemmeno a escogitare un modo per farla finita perché estinguere la propria volontà richiederebbe un faticoso atto di volontà.

In definitiva, che si tratti di schiamazzo, risatina, borbottio, sogghigno, stridio, urlo, grido, risolino, sussulto, strillo, riso, boato, ridacchio, fischio, sghignazzo o che si manifesti in scoppi, scrosci, ondate, raffiche, mormorii, fiumi, strombazzamenti, cascate, turbinii e frecciate, di certo sappiamo che l’umorismo nasce da un cambio di prospettiva, da un inatteso slittamento di significato e soprattutto da un trionfo dell’incongruenza.

«Quando dissi di voler diventare un comico, tutti si misero a ridere. Adesso invece non ridono più.»

Bob Monkhouse

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