Una stanza tutta per Virginia

Letteratume
3 min readAug 23, 2021

Cosa sarebbe accaduto se una manciata di cartelle, preparate per essere lette dinanzi a un pubblico con il giusto timbro di voce, non fossero state trasformate in un libro eterno e “resistente”?

Forse Virginia Woolf sarebbe stata “solo” l’autrice di Gita al faro e Mrs Dalloway, tanto per citare i primi due titoli che saltano alla mente, perché il pamphlet Una stanza tutta per sé (qui nella versione “Universale Economica Feltrinelli” con l’ottima traduzione congiunta di J. Rodolfo Wilcock e Luca Bacchi Wilcock) è un potente concentrato di femminismo primigenio e di speculazione letteraria che affascina e spiazza, rassicura e avvince.

Tema di fondo avrebbe dovuto essere “Le donne e il romanzo” ma la temperie culturale e l’afflato di Virginia Woolf fanno presto virare il discorso verso il rapporto delle donne con il mondo circostante (letteratura inclusa) e con l’atto emancipatorio di avere una stanza per scrivere e dalla quale riuscire a evadere.

Oxbridge

La bellezza del testo risiede nel felice patchwork di generi: a un intento storico-documentaristico si affiancano il saggio, il racconto, la denuncia, il registro ironico e quello metaforico, l’analisi e la fervida fantasia (da leggere e rileggere la vicenda di Judith, sorella “inventata” di Shakespeare).

George Eliot ed Emily Brontë, Charlotte Brontë e Jane Austen non sono ancelle della scrittura ma portabandiera di una visione della letteratura che intende farsi beffe della società patriarcale ricorrendo a genio e integrità: quello che del resto ha provato per una vita intera a fare Virginia.

La straordinarietà di questo libriccino nasce dalle immagini bizzarre e giocose (“Oxbridge”), dalle fantasticherie e rivelazioni che convivono senza requie all’interno di una scrittura che procede per accelerazioni e frenate, per giochi di specchi e allusioni (“Chiamatemi Mary Beton, Mary Seton, Mary Carmichael o come meglio vi piace”), creando un risultato profetico e visionario soprattutto se si pensa alla vita travagliata dell’autrice.

«Una stanza tutta per sé e cinquecento sterline annue di rendita sono le condizioni minime necessarie per la donna che scrive. La richiesta materiale ha una forte, occulta carica metaforica: se la donna è stata per secoli assente dalla storia, cassata, rimossa, se ha avuto la funzione, spaziale, di specchio — ingrandimento dell’uomo, raddoppiamento della figura di lui –, se nel suo corpo-nutrimento gli ha offerto il dono dell’atemporalità, non potrà nascere a se stessa, alla propria parola, che conquistando il diritto fisico, economico all’inscrizione nello spazio sociale.»

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